Tecnologie quantistiche: l’Italia muove i primi passi grazie al PNRR

Nel 2023 l’investimento privato nel Quantum Computing in Italia è inferiore a 6 milioni di euro, stanziati su risorse interne all’azienda, come personale dedicato, e all’esterno, in consulenza, tempo macchina e formazione. E al netto di alcuni casi, la maggior parte delle aziende stanzia budget residuali, tra 50.000 e 150.000 euro, senza una strategia di medio-lungo termine.

Grazie all’iniezione di fondi in ricerca e sviluppo derivanti dal PNRR, con oltre 140 milioni di euro stanziati su un orizzonte di 3 anni, e al crescente interesse da parte di alcune grandi aziende, l’Italia muove i primi passi verso la creazione di un ecosistema nazionale sul Quantum Computing.
Emerge dall’Osservatorio Quantum Computing & Communication del Politecnico di Milano.

I fondi governativi trainano lo sviluppo

La tecnologia è in una fase prototipale in cui sono i fondi governativi a trainare lo sviluppo di ecosistemi competitivi. Tra gli investimenti pubblici italiani spiccano due iniziative, quella del Centro Nazionale HPC, Big Data e Quantum Computing (budget totale 320 milioni di euro) e il partenariato esteso NQSTI, National Quantum Science and Technology Institute (116 milioni di euro).

Nonostante si tratti di un importante punto di partenza, i fondi governativi sono ancora insufficienti. Il ritardo accumulato porta il Paese a detenere una filiera dell’offerta nazionale embrionale, con poche startup nazionali in uno scenario attualmente dominato da aziende internazionali e grandi società di consulenza.

Il percorso aziendale di Quantum Readiness

Nel 2023 il 24% delle grandi aziende italiane ha avviato i primi passi nel percorso di Quantum Readiness. L’11% solo a scopo informativo, attraverso iniziative di disseminazione e qualche relazione di ecosistema, un ulteriore 12% in modo più concreto, avviando anche una sperimentazione, e solo l’1% è definibile Quantum Pioneer, ovvero sta lavorando in modo organico con un commitment aziendale di lungo termine.

All’interno del 76% di aziende che non hanno ancora avviato un percorso di Quantum Readiness, un 7% di imprese detiene tutte le caratteristiche abilitanti per l’innovazione tecnologica, ma decide di avere un approccio attendista.
La restante parte è invece ancora in una fase di trasformazione organizzativa, che rende il Quantum Computing difficile da inserire tra le priorità di lavoro.

“Un ambito fondamentale da presidiare a livello sistemico”

“Grazie al PNRR, l’Italia ha mostrato segnali incoraggianti di attenzione verso la rivoluzione quantistica – afferma Paolo Cremonesi, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio -. Nonostante si sia partiti in ritardo rispetto ad altri Paesi europei e oltreoceano, questi investimenti ci permetteranno di fare passi da gigante nel tentativo di colmare il gap tecnologico.  Oggi quindi è più che mai importante garantire continuità a quanto avviato, strutturando una visione coordinata e strategica per il futuro del Paese in questo comparto: si tratta di un ambito fondamentale da presidiare a livello sistemico per non dipendere da altre nazioni con accesso diretto a queste tecnologie”.

Imprese italiane invecchiano, e in 10 anni un quarto di giovani in meno nei ruoli apicali

Tra il 2014 e il 2023, sul totale di chi ricopre una carica all’interno delle aziende italiane la presenza di over70, tra titolari, amministratori o soci, è aumentata di un quarto, mentre quella dei giovani tra 18-29 anni è diminuita più o meno nella stessa proporzione.
Emerge dalle elaborazioni di Unioncamere e InfoCamere: nelle due classi di età mediane, quella dei 30-49enni e dei 50-69enni, si incontrano invece la riduzione percentuale maggiore e l’aumento maggiore in valore assoluto.

In 10 anni i primi sono scesi del 28%, per oltre 1 milione e 100mila cariche in meno rispetto a 10 anni fa, e i secondi, con quasi 600mila cariche in più, evidenziano una variazione positiva del 15,3%.
Insomma, nell’Italia delle imprese sempre meno giovani occupano i centri decisionali. E se l’Italia sta invecchiando, anche l’impresa mostra una progressione verso la terza età. 

I più giovani puntano su agricoltura e tecnologia 

Il bilancio della presenza giovanile nell’impresa, in discesa di quasi 110mila unità in un decennio, è negativo in tutti i settori, a eccezione dell’Agricoltura, che segna un +12,8% per le cariche dei 18-29enni (oltre 4mila posizioni in più) e delle Attività professionali, scientifiche e tecniche (+27,7%, per 3.300 imprese in più).

In misura più modesta, le cariche occupate dai 18-29enni crescono anche nell’Istruzione (+6%, +100) e nelle Attività finanziarie e assicurative (+3,3%, +300).
Il crollo dei 30-49enni invece è deciso in tutti i settori. Nella manifattura si registra la variazione più negativa (-42,5%), nel Commercio, la riduzione maggiore in valori assoluti (-317mila cariche).

Ma la colpa non è solo della ‘demografia’

Gli over70, invece, che oggi occupano 268mila cariche in più dal 2014, così come gli over50 (quasi +600mila), aumentano in tutti i settori, con incrementi quasi sempre a due cifre.
I dati più elevati per gli over70 sono però quelli del Noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (over50 +50,6%, over70 quasi +70%), dell’Istruzione (+36,8%, +51,5%), e della Sanità (+40,2%, +72,4%).

Ma la colpa non è solo della ‘demografia’.
“Bisogna semplificare tutte le procedure che ancora oggi frenano il fare impresa in Italia, e che sono vissute come un fardello troppo pesante, soprattutto dai più giovani – commenta il Presidente di Unioncamere, Andrea Prete -: ben 7 imprese under35 su 10 vedono nella burocrazia l’ostacolo maggiore all’utilizzo delle risorse del PNRR”.

A livello territoriale il Sud conta le perdite maggiori

A livello territoriale, a eccezione del Trentino Alto Adige, dove i 18-29enni sono aumentati del 3,9%, è nelle regioni del Mezzogiorno, a partire da Molise, Abruzzo, Calabria e Sicilia, che si contano le perdite maggiori. 
Calabria, Sicilia e Abruzzo sono le regioni in cui, invece, la popolazione dell’impresa over70 cresce di più.
Calabria, Campania e Toscana, quelle in cui crescono i 50-69enni con ruoli apicali. 

Lavoro: gli studenti lo preferiscono manuale, le famiglie hanno piani diversi

Immaginando il proprio futuro dopo gli studi, a più di uno studente su tre (39%) non dispiacerebbe fare l’autoriparatore, l’elettricista, il tecnico manutentore o programmatore o l’addetto all’assemblaggio e alle macchine industriali. 
Chi ha detto, quindi, che i giovani non vogliono più fare lavori tecnici?
Il dato è ancora più significativo considerando che tali profili professionali sono proprio tra i più carenti e più richiesti dal mercato del lavoro.

Il problema è che spesso il desiderio dei ragazzi e delle ragazze non riceve adeguato supporto, e di fronte alle aspettative delle famiglie e alla direzione tracciata dalle attività di orientamento a scuola finisce ‘nel cassetto’.
È quanto emerge dalla ricerca di Gi Group Holding e Fondazione Gi Group, svolta in collaborazione con Skuola.net e La Fabbrica. 

I genitori puntano sull’università

Le facoltà universitarie sono di gran lunga la prima opzione per i genitori con figli che studiano al liceo e agli istituti tecnici, e la seconda per chi ha figli agli istituti professionali, subito dopo l’ingresso nel mercato del lavoro.

Oltre 7 genitori su 10 (72%) vorrebbero vedere il proprio figlio o figlia all’università.
A questa prima forma di pressione sociale si aggiungono le attività di orientamento a scuola: per 8 studenti su 10 (76%) sono anch’esse sbilanciate verso l’università, traducendosi in presentazioni di facoltà e corsi di laurea.
L’orientamento, poi, inizia troppo tardi. Solo uno studente su dieci (11%) lo comincia entro la terza superiore, il 33% non prima della quinta, e uno su quattro addirittura non lo fa (26%).

Its e Ifts questi sconosciuti

Non è un caso, allora, che solo uno studente su cinque (21%) conosca bene i percorsi Its e Ifts, in misura maggiore ragazzi (31% vs 17% ragazze). E se il 29% di studenti ne ha sentito solo parlare, per il restante 50% è buio totale.
Non va meglio con i docenti: negli istituti tecnici il 25% non conosce questi percorsi, percentuale che sale al 46% nei licei.

La situazione ancora peggiore per gli Ifts, pressoché sconosciuti al 57% dei docenti degli istituti tecnici e al 70% di quelli liceali.
Più in generale, è l’apprendistato di I livello a non aver fatto breccia. Il 58% dei docenti non ha informazioni su queste opportunità di inserimento lavorativo, dato che sale al 77% tra i genitori.

Le lacune dei programmi di orientamento

I programmi di orientamento sono in larga misura poco adeguati ad accompagnare gli studenti verso un percorso post-diploma, e poco attenti a supportarli nella costruzione consapevole di un percorso di vita.
Tra le lacune da migliorare, gli studenti vorrebbero più esperienze pratiche in grado di avvicinarli per davvero al mondo del lavoro, come stage e tirocini (31%), visite o incontri in realtà lavorative (23%).

Dai docenti e dai genitori arriva invece l’auspicio di ricevere maggiore formazione per affiancare i ragazzi. Un’esigenza particolarmente sentita dai docenti più giovani, della Generazione Z e Y, dove a desiderarla è addirittura il 61% dei professori.

Videogiochi: per gli italiani riducono stress, ansia e solitudine

Quasi 6 italiani su 10 ritengono che i videogiochi siano in grado di ridurre l’ansia, mentre poco meno della metà afferma che possono aiutare a combattere la solitudine. E per circa 7 italiani su 10 i videogame sono un valido strumento per combattere lo stress

È quanto emerge da un sondaggio dal titolo ‘The power of game’, condotto in Italia da IIDEA, che fa parte di Video Games Europe, su un campione di circa 13mila videogiocatori provenienti da 12 Paesi (Australia, Brasile, Canada, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Polonia, Spagna, Stati Uniti e Italia), di cui circa mille giocatori italiani.

Uno stimolo per la mente e la connessione tra le persone

Secondo i partecipanti a livello globale i videogiochi stimolano la mente (70%), favoriscono la connessione tra persone diverse (78%) e offrono esperienze accessibili a persone con abilità diverse (75%).

E secondo i partecipanti italiani, in particolare, i videogiochi hanno un effetto positivo sulla riduzione dello stress (69%), dell’ansia (58%) e della solitudine (45%).
Insomma, i videogiochi possono avere effetti positivi sulla salute mentale, riporta Ansa.

Un aiuto per affrontare le sfide di ogni giorno e sentirsi più felici

Dallo studio emerge, quindi, come i videogiochi possano fornire ai giocatori una serie di benefici sociali ed emotivi condivisi a livello globale.
Nello specifico, i videogiochi sono un efficace strumento per ridurre lo stress a tutti i livelli per le donne (54%) più che per gli uomini (47%), e soprattutto nella fascia di età 25-34 anni (55%).

In più, aiutano ad affrontare le sfide di ogni giorno (66%) e a sentirsi più felici (48%).
Talvolta sono anche terapeutici, dal momento che per 4 intervistati su 10 sono stati utili a superare momenti difficili.

Giocare in compagnia? Meglio online

I videogiochi, poi, rinforzano skills e attitudini. Migliorano la creatività (69%), aiutano a sviluppare le competenze cognitive (68%), agevolano il lavoro di squadra (63%), affinano le competenze linguistiche (63%) e, in generale, stimolano la flessibilità (59%).

Quanto alle ragioni che spingono gli italiani a videogiocare, riferisce ItaliaInforma, se per la maggior parte (65%) sono un modo per passare il tempo, divertirsi (63%) è un’ottima ragione per farlo, e 6 intervistati su 10 pensano che esista un videogioco adatto per tutti.
Rispetto alle abitudini di gioco il 71% del campione italiano valuta positivamente la propria esperienza di gioco online, che quando si sceglie di giocare in compagnia spesso viene preferito al gioco in presenza.

Come riconoscere un ambiente di lavoro tossico?

Un ambiente di lavoro è sano quando, libero dal pregiudizio, dai giudizi e aperto alla crescita personale e professionale, favorisce produttività, serenità e maggiore creatività dei dipendenti.

In pratica, lavorare in un ambiente sano soddisfa il concetto di sicurezza psicologica che tutti vogliamo appagare.
Al contrario, quando viene a mancare una sicurezza del genere, si parla di ambiente di lavoro tossico.
Come riconoscere un ambiente di lavoro tossico? Gli esperti di Jobiri hanno individuato 10 segnali che permettono di identificare un ambiente lavorativo malsano e dannoso per la salute fisica, e soprattutto mentale, dei dipendenti.

Dalla mancanza di supporto alla mancanza di fiducia

I 10 segnali a cui fare attenzione riguardano mancanza di supporto, eccessivo carico di lavoro, elevato turnover del personale, leadership inadeguata e inefficiente, mancanza di equità, mobbing e atteggiamenti negativi, scarse opportunità di crescita, mancanza di comunicazione, disturbi di insonnia e stress eccessivo, conflitto con l’etica e i valori personali, e mancanza di fiducia tra e verso i dipendenti.
La mancanza di fiducia tra e verso i dipendenti è un segnale evidente della presenza di un ambiente di lavoro tossico. Se c’è competizione, invidia, e in generale stati d’animo negativi, non ci potrà mai essere collaborazione, e quindi fiducia, nei confronti delle capacità e della professionalità degli altri.
Stesso discorso vale se anche il datore di lavoro non si fida dei suoi collaboratori.

Come affrontare un ambiente di lavoro negativo?

Per affrontare un ambiente di lavoro negativo è anzitutto necessario parlare con i colleghi e il datore di lavoro in modo aperto e rispettoso.
Comunicare, secondo Jobiri, significa essenzialmente tentare di correggere i comportamenti negativi che stanno generando questa situazione.
Provare a restare in un ambiente lavorativo tossico non significa, infatti, accettare passivamente atteggiamenti deleteri, ma tentare piuttosto, nel proprio piccolo, di mettere in atto una serie di azioni positive.

Ad esempio, disinnescare i pettegolezzi, comunicare sempre con i colleghi e far notare loro quando pronunciano parole offensive o poco corrette, ascoltare e dare loro conforto, discutere con il capo riguardo esigenze e obiettivi senza timore.
Se necessario, far presente alle risorse umane la mancanza di politiche inclusive all’interno dell’organizzazione.

Esplorare nuove opportunità

Se anche dopo aver messo in pratica gran parte delle azioni consigliate la situazione non cambia né migliora, l’unica opzione da prendere in considerazione è quella di esplorare nuove opportunità di lavoro.
Ma, attenzione: trovare il lavoro perfetto non è sempre facile, e porta sempre con sé la paura della novità e del cambiamento.

Essere disposti a valutare compromessi, mettendo sul piatto della bilancia i pro e i contro è sicuramente il primo passo per prendere una decisione consapevole e serena.

Pet Vibes, Better Office: un cane in ufficio migliora umore ed employer branding

Lo conferma un’indagine commissionata dal Gruppo Mars a Swg dal titolo ‘Gli uffici pet-friendly nell’era odierna post pandemia’: quasi la metà dei lavoratori italiani, che si tratti di pet parents o meno, è convinta che la presenza di cani migliori l’umore complessivo dell’ufficio (47%).
Percentuali leggermente inferiori ritengono inoltre che il pet al lavoro diminuisca lo stress (42%) e favorisca le occasioni di connessione con i colleghi (40%). Tra gli altri vantaggi, le riposte evidenziano una maggiore creatività (31%) e una maggior produttività (27%), ma soprattutto, un’azienda più attrattiva in un’ottica di employer branding (30%). Insomma, aprire gli uffici ai cani avrebbe ricadute positive sull’umore delle persone che vi lavorano e sulle aziende.

Tanti vantaggi, eppure solo un’azienda su dieci ne consente l’accesso 

Due proprietari di cani su 3 vorrebbero poi poter godere della compagnia del proprio amico a quattro zampe anche in ufficio (64%). E quasi la metà ritiene che le aziende dovrebbero organizzarsi a tale scopo (48%). Eppure, la possibilità di far accedere su base regolare il proprio pet negli uffici è una realtà solo in 1 caso su 10, mentre nella maggioranza dei casi non è mai permesso (55%) o non sono state stabilite regole a riguardo (27%).

Gli amici a quattro zampe sarebbero graditi al lavoro anche da chi non ne ha

Tutto questo, nonostante tra chi non possiede un cane, una persona su 3 (il 33%) avrebbe piacere a godere della presenza di pet sul luogo di lavoro. E anche chi inizialmente si è dichiarato contrario (34%) sarebbe disposto a cambiare idea qualora i cani avessero chiari spazi a cui accedere (32%), fossero vaccinati (14%), o l’azienda prevedesse policy di regolamentazione (12%).

Creare città più a misura di animali

I dati dall’indagine sono stati presentati nell’ambito del workshop Pet Vibes, Better Office. L’obiettivo, riferisce Adnkronos, è portare avanti il percorso di incoraggiamento dell’adozione di politiche pet-friendly su larga scala nel mondo del lavoro, condividendo consigli e linee guida su come implementare queste pratiche. Un appuntamento pensato in vista della Giornata mondiale degli animali, prevista il 4 ottobre, coincidente con la festa del patrono S. Francesco d’Assisi, protettore degli animali. Il Gruppo Mars in Italia è rappresentato dalle aziende Mars, Royal Canin e AniCura, ed è pioniere nelle politiche pet-friendly. Tutti i suoi uffici possono infatti accogliere gli amici a quattro zampe, coerentemente con il più ampio impegno di creare città più a misura di animali.

Noleggio auto: nel primo semestre crescono flotta e immatricolazioni 

Dopo i primi positivi segnali nella Legge Delega, le imprese italiane di autonoleggio attendono un alleggerimento del peso fiscale sui costi di mobilità, che continuano a penalizzarle rispetto ai competitor di altri Paesi europei. Ma nel primo semestre 2023 il settore registra una crescita decisa: +47% di immatricolazioni, con una flotta circolante che supera 1 milione e 300mila veicoli.
E a conferma del ruolo chiave nella diffusione di veicoli a basse o zero emissioni allo scarico, il noleggio autoveicoli rappresenta il 34% delle nuove vetture elettriche e il 63% dei veicoli ibridi alla spina (PHEV). È quanto emerge dall’analisi semestrale sulla mobilità pay-per-use condotta da ANIASA, l’Associazione che all’interno di Confindustria rappresenta il settore dei servizi di mobilità.

Un veicolo nuovo su 3 è a noleggio

Il settore del noleggio veicoli ha immatricolato nei primi sei mesi dell’anno 308.950 veicoli, il 33% dei totali nuovi messi sulle strade italiane. Di fatto, un veicolo nuovo su 3 è a noleggio.
Il nuovo aumento dei volumi registrato dal settore riguarda non solo i nuovi ‘innesti’ nel parco, ma anche la consistenza complessiva della flotta, che ha toccato 1 milione e 300mila unità. Di questi, 1.197.000 sono noleggiati a lungo termine da aziende, PA e privati (con partita IVA o solo codice fiscale) e 135.000 presi in locazione a breve termine per esigenze turistiche o di business.

La top 3 dei modelli più noleggiati: Panda, Ypsilon, Sandero

La top ten dei modelli di auto più noleggiati nei primi 6 mesi del 2023 propone diverse novità, che confermano come ormai le fonti di approvvigionamento di questo mercato siano piuttosto diversificate. Al di là dei posizionamenti di vertice dei modelli del Gruppo di riferimento dell’ex costruttore nazionale, con Panda (1° posto), Ypsilon (3°), 500 (4°), Renegade (5°) e 500 X (8°), si segnala il secondo posto della Sandero, e nella seconda parte della classifica, la presenza di Yaris Cross, T-Roc, Duster e Captur.

Aumentano i privati che scelgono di non acquistare la macchina

Tra i segmenti di clientela che hanno visto una ulteriore crescita rispetto allo scorso anno si distinguono i privati che hanno scelto di non acquistare la vettura, ma prenderla a noleggio per 1 o più anni. Si tratta di 163.000 unità, circa il 14% del totale veicoli in flotta.
Le aziende si confermano clientela consolidata dei noleggiatori (76% dei mezzi a nolo in circolazione) e il restante 10% è nelle mani delle PA. Ma se nel primo semestre il noleggio a breve termine non ha ancora colmato il gap nei volumi rispetto al pre-pandemia, perdendo quasi 1 noleggio su 5 (-17,5% vs 2019), prosegue nella fase di recupero, avviando a graduale soluzione le difficoltà di approvvigionamento dei veicoli registrate negli anni scorsi e riducendo i prezzi per noleggio (-9,4% rispetto al 2022). Positivi tutti gli altri indicatori: giro d’affari (+21% vs 2019), giorni di noleggio (+4%), flotta (+1%) e durate dei noleggi (+26%).

Manca il 48% di manodopera: in 1 anno lavoratori introvabili +7,6%

Lo rileva un rapporto di Confartigianato sulla carenza di personale: nell’ultimo anno la quota di lavoratori introvabili sul totale delle assunzioni previste è passata dal 40,3% di luglio 2022 al 47,9% di luglio 2023.
In particolare, le maggiori difficoltà di reperimento si riscontrano per i tecnici specializzati nella carpenteria metallica (70,5% di personale difficile da trovare), nelle costruzioni (69,9%), e nella conduzione di impianti e macchinari (56,6%).Insomma, per le imprese italiane è sempre più difficile trovare manodopera. E si tratta di un fenomeno diffuso in tutta Italia e in tutti i settori, da quelli tradizionali fino alle attività digitali e hi-tech.

Un’emergenza in crescita dal Nord al Sud

A livello regionale, le imprese che faticano di più a trovare dipendenti operano in Trentino-Alto Adige, con il 61,6% del personale di difficile reperimento. Seguono quelle della Valle d’Aosta (57,1%), Umbria (54,6%), Friuli-Venezia Giulia (53,3%), Emilia-Romagna (52,7%), Piemonte (52%) e Veneto (51,4%). Ma, secondo Confartigianato, la scarsità di manodopera è un’emergenza in crescita ovunque: nell’ultimo anno, infatti, la quota di lavoratori difficili da trovare è salita del 9,1% nel Mezzogiorno, del 6,9% nel Centro, del 7,4% nel Nord Ovest e del 6,5% nel Nord Est. I maggiori aumenti si registrano in Abruzzo (+11,5%), Calabria (+10,9%), Liguria (+10,8%), Puglia (+10,5%) e Trentino-Alto Adige (+10,3%).

Come reagiscono le piccole imprese?

Dal rapporto di Confartigianato emerge poi che tra le cause di difficile reperimento rientra la mancanza di candidati (32,4% dei lavoratori) e l’inadeguata preparazione degli stessi (10,8%). Per questo, le piccole imprese reagiscono intensificando le collaborazioni con gli istituti tecnici e professionali, l’utilizzo di stage, tirocini, percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. Inoltre, all’aumento delle retribuzioni viene affiancata l’offerta di pacchetti di welfare aziendale, la flessibilità dell’orario di lavoro, l’utilizzo dello smart working, interventi per migliorare il clima aziendale e comfort dei luoghi di lavoro.

“Il lavoro c’è, mancano i lavoratori”

“La carenza di manodopera è diventato uno dei maggiori problemi per le nostre imprese. Siamo al paradosso: il lavoro c’è, mancano i lavoratori. E, nel frattempo, 1,7 milioni di giovani tra 15 e 29 anni non studia, non si forma, non cerca occupazione. Di questo passo, ci giochiamo il futuro del Made in Italy – sottolinea Marco Granelli, presidente di Confartigianato -. Bisogna insegnare ai giovani che nell’impresa ci sono opportunità, adeguatamente retribuite, per realizzare il proprio talento, le proprie ambizioni, per costruirsi il futuro”.

OpenAI, arriva la versione aziendale di ChatGPT

OpenAI ha introdotto una versione di ChatGPT progettata per rispondere alle crescenti preoccupazioni delle aziende riguardo alla privacy e alla sicurezza nell’uso di intelligenza artificiale generativa. Questa soluzione, denominata ChatGPT Enterprise, è stata annunciata attraverso un articolo sul blog di OpenAI. Essa promette una maggiore sicurezza, privacy e accesso illimitato ad alta velocità a GPT-4. Inoltre, offre analisi dati avanzate per un’efficace estrazione di informazioni e la possibilità di formulare domande complesse a ChatGPT.

La questione della privacy e della sicurezza

La questione della privacy e della sicurezza è stata da sempre una preoccupazione per le aziende, che temevano che i loro dati potessero essere utilizzati per addestrare modelli di ChatGPT, mettendo a rischio informazioni sensibili dei clienti. OpenAI ha affrontato queste preoccupazioni garantendo agli utenti di ChatGPT Enterprise il pieno controllo e la proprietà dei propri dati, che non verranno utilizzati per l’addestramento di GPT. Oltre alla privacy, ChatGPT Enterprise consente la personalizzazione della conoscenza del modello riguardo ai dati aziendali e fornirà strumenti analitici avanzati, attualmente in fase di sviluppo. Opzioni di prezzo specifiche per piccole squadre saranno introdotte per rendere l’accesso più flessibile. L’obiettivo di OpenAI è coinvolgere il maggior numero di aziende possibile attraverso un processo di integrazione.

Il primo prodotto focalizzato sul settore aziendale

ChatGPT Enterprise, riferisce Adnkronos,  rappresenta il primo prodotto focalizzato sul settore aziendale, differenziandosi dai piani di abbonamento ChatGPT e ChatGPT Plus, che offrono un accesso più generale alla piattaforma. Le aziende che utilizzano già ChatGPT possono scegliere se rimanere fedeli alle opzioni attuali o passare a ChatGPT Enterprise per sfruttare le nuove funzionalità. Mentre alcune aziende hanno preferito connettersi a GPT-4 tramite API o servizi cloud per proteggere i propri dati, molte realtà più piccole hanno trovato difficile creare modelli di linguaggio su larga scala. In risposta a questa esigenza, sono emersi vari fornitori che offrono soluzioni sicure per l’accesso a modelli di linguaggio su larga scala come GPT-4.

Crescerà la concorrenza nel settore?

Con il lancio di ChatGPT Enterprise, ci si aspetta un aumento della concorrenza in questo settore. OpenAI ha anche annunciato l’apertura di GPT-3.5 all’addestramento personalizzato, consentendo agli utenti di adattare il modello alle proprie esigenze specifiche. Queste evoluzioni segnalano una crescente attenzione al bilanciamento tra l’innovazione nell’IA e la protezione dei dati aziendali e della privacy dei clienti.

Nel 2023 il settore HoReCa è solido: più consumi fuori casa a dispetto del caro-prezzi

Per oltre l’80% degli operatori HoReCa l’industria dei beni di largo consumo e gli esercenti hanno sensibilmente sofferto l’aumento dei costi, mitigandone l’impatto solo parzialmente incrementando i prezzi ai consumatori finali. A fronte della pressione inflattiva, a oggi gli operatori non prevedono però una contrazione significativa dei consumi. A quanto emerge dall’approfondimento di Bain & Company Italia realizzato in occasione del Rapporto Annuale Ristorazione, curato da FIPE-Confcommercio, il rallentamento della crescita economica nel 2023 non sembra infatti condizionare il segmento ‘fuori casa’.
Il settore HoReCa appare quindi solido, con il 2022, anno di stabilizzazione per il settore della Ristorazione, chiuso in crescita rispetto all’anno precedente, seppur ancora indietro del 4% rispetto al 2019. 

Uno scenario cautamente positivo

“Lo scenario del 2023 rimane cautamente positivo, con la maggioranza degli intervistati che per l’anno in corso prospetta una crescita del segmento nell’ordine del +5/+10% rispetto al 2022”, commenta Aaron Gennara Zatelli, Partner di Bain & Company. La tenuta del settore nel 2023 sarà guidata da diversi fattori. Innanzitutto, la stabilità della domanda dei consumatori italiani. Poi, la ‘premiumizzazione’ sostenuta dalla maggiore attenzione da parte dei consumatori verso qualità degli ingredienti, ricerca di unicità e sostenibilità dei prodotti offerti.
Inoltre, contribuiscono alle previsioni positive la ripresa del turismo internazionale e la tenuta dei sotto-canali, con offerte più accessibili, e i canali premium. Il ritorno del turismo internazionale in Italia determina infatti effetti positivi sul ‘fuori casa’ spingendo i volumi e aumentando la spesa per consumi HoReCa, con un maggiore interesse verso le esperienze premium.

Con smarworking meno colazioni al bar, più aperitivi

Ma poiché il lavoro da remoto si è stabilizzato a 2-3 giorni a settimana cambiano le abitudini alimentari dei consumatori europei. Se, da un lato, si riduce la spesa per colazioni e pranzi consumati fuori casa, dall’altro si nota una forte inclinazione verso uscite serali per aperitivi e cene, in una prospettiva di consumo esperienziale, sociale e di gratificazione personale. Durante il weekend si registra un incremento di pasti consumati fuori casa e takeaway, e aumenta la tendenza a consumare bevande alcoliche in club, bar o ristoranti, che tra il 2021 e il 2022 passa dal 15% al 25%, con picchi del 40% in Spagna e Italia.

Rallenta il Food e Grocery Delivery 

La crescente attenzione dei consumatori verso la sostenibilità spinge l’industria all’adozione di pratiche più sostenibili nei processi produttivi e nei prodotti stessi, utilizzando ingredienti a basso impatto ambientale o impiegando pratiche socialmente responsabili.
Tuttavia, emerge ancora una discrepanza tra intenzioni d’acquisto dei consumatori e ciò che viene effettivamente comprato (prodotti meno sostenibili a prezzi più convenienti). Quanto ai modelli di Food e Grocery Delivery, la ripresa delle abitudini di consumo fuori casa ne hanno rallentato lo sviluppo. Ma nel 2022 quasi 4 consumatori italiani su 10 hanno usufruito dei servizi di consegna a domicilio.