Vacanze natalizie: i viaggiatori stranieri scelgono l’Italia

Uno studio di Enit su dati Fordwardkeys ha rivelato un certo fermento nel settore dei viaggi dal 19 dicembre 2022 all’8 gennaio 2023. Le prenotazioni aeree internazionali verso l’Italia sono state infatti circa 274mila, il 57,3% in più rispetto al medesimo periodo 2021/2022. Insomma, per le festività natalizie fino all’Epifania i viaggiatori stranieri hanno messo in programma un viaggio in Italia. Soprattutto da parte degli americani. La forte rappresentanza del mercato statunitense continua, e raddoppia rispetto al 2021 (+49,8%). Le prenotazioni aeree dagli USA sono state 57mila, e la percentuale di americani sfiora il 21% sul totale degli arrivi esteri previsti. Al secondo posto, le prenotazioni da Germania (26.970, +22,2%) e al terzo quelle dal Regno Unito (21.730, +34,0%), per un’incidenza rispettivamente del 9,8% e del 7,9% sul totale.

Roma in testa alle destinazioni preferite dei visitatori internazionali

L’82% dei visitatori è un turista leisure. Sono ben 224.500, +50,5% sul 2022/2021. E con oltre 122mila prenotazioni aeree è Roma la destinazione con le migliori performance, destinata ad accogliere circa il 45% dei visitatori internazionali totali, l’82,2% in più rispetto allo stesso periodo 2021/2022. Roma è seguita sul podio da altre due città d’arte: Milano (oltre 74mila, +63,9%) con una quota di arrivi aeroportuali pari al 27,0%, e Venezia (oltre 24 mila, +30,2%) con il 9,0% sul complessivo.

Oltre 81mila coppie in volo verso la Penisola

Sono state 81.462 le prenotazioni per 2 passeggeri (+48,2% sul 2021), il 29,7% del totale. E i turisti internazionali viaggiano soprattutto in Economy, con circa 234mila arrivi aereoportuali (+59,2%), l’85,4% del totale. Segue la classe Premium (+47,7%, 7,5%), che conferma la propensione dei viaggiatori a spendere di più non solo per il volo, ma anche per tutti i servizi turistici del viaggio a vantaggio delle destinazioni prescelte. Esigue le richieste per la prima classe, più che dimezzate rispetto allo scorso anno (-53,8%).

Picco raggiunto l’ultimo dell’anno, soprattutto per montagna

Dal 19 dicembre 2022 all’8 gennaio 2023, le prenotazioni delle camere disponibili nelle strutture sui canali delle Online Travel Agencies sono state al 32,5%, contro il 19,0% dello stesso periodo del 2021-2022. Quanto al dato giornaliero, il livello di occupazione massimo si è rilevato per l’ultimo dell’anno (60%), quasi il doppio rispetto al tasso di saturazione delle festività natalizie 2021-2022 (36,5%). Per l’intero periodo, dalla montagna ai laghi alle città d’arte, tranne il mare, hanno superato la media nazionale. Primo fra tutti il comparto montano, con il 44,0% della disponibilità prenotata.
Il picco si è raggiunto l’ultimo dell’anno, soprattutto per montagna (79,5%) e laghi (69,1%). Rispetto al 2021, le performance migliori se le sono aggiudicate le città d’arte, con un tasso di saturazione medio superiore del 25%.

Lavoro: per il 45,3% delle aziende è difficile reperire personale 

Per dicembre 2022 sono in programma 329.000 assunzioni, un numero inferiore di 24.000 unità rispetto all’anno scorso. Ma la vera criticità sta nella difficoltà di reperimento del personale, un dato che continua a crescere e che a oggi è arrivato al 45,3% del personale ricercato, con una crescita del 7% rispetto al 2021. La flessione delle assunzioni previste per dicembre è da ricondurre al rallentamento dell’economia in seguito alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e all’inflazione, fenomeni strettamente collegati tra loro. Nonostante questo, la domanda di lavoro delle imprese si mantiene su livelli simili a quelli registrati nel medesimo periodo del 2019, prima della pandemia da Covid-19. Lo rileva l’ultimo bollettino del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ANPAL.

Le professioni high skills più difficili da reperire

L’attenzione va quindi posta in buona parte sul crescente mismatch tra domanda e offerta di lavoro. In base ai dati Excelsior, sulle 329.000 assunzioni programmate per dicembre 149.000 saranno difficoltose o addirittura impossibili. Le imprese motivano la difficoltà nel trovare personale con diversi fattori, a partire dalla mancanza numerica di candidati e dalla loro preparazione inadeguata.
Per quanto riguarda le professioni high skills, i professionisti più difficili da reperire sono gli specialisti nelle scienze della vita (82,7%), i tecnici della salute (62,7%), i tecnici in campo ingegneristico (58,7%), i tecnici di gestione (58,6%), e i tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni (54,4%).

“Il mismatch tra domanda e offerta non si è sviluppato dal nulla”

È inoltre altissimo il livello di difficoltà dichiarato per la ricerca di dirigenti (72,8%). Quanto invece alle professioni low skills, si presentano difficoltà di reperimento per gli operatori della cura estetica (69,6%), per meccanici, montatori, riparatori e manutentori (69,4%), e per operai di macchine automatiche e semiautomatiche (61,7%). Qual è quindi la soluzione per le imprese, che pur avendo necessità di inserire nuovi talenti non riescono a individuare i necessari candidati?
“Risulta cruciale capire che il problema del mismatch tra domanda e offerta non si è sviluppato dal nulla, e che probabilmente continuerà ad aumentare anche nei prossimi anni, con un concreto aumento dei posti di lavoro disponibili ma non accessibili”, spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati.

Investire sulla strategia di employer branding

“Per questo la competitività delle imprese si baserà sempre più sulla capacità di attirare i ‘pochi’ talenti presenti sul mercato del lavoro – continua Adami -. Il primo consiglio è dunque quello di investire sulla propria strategia di employer branding, così da diventare un’opzione naturale per le risorse che sono alla ricerca di una nuova occupazione. Il secondo consiglio è quello di affidare la selezione del personale a dei professionisti come i nostri head hunter, specializzati di volta in volta nei diversi settori. In questo scenario sono infatti poche le aziende che possono permettersi il lusso di ‘sbagliare’ una selezione o di vedere un intero processo di recruiting andare a vuoto”.

Nel post-Covid addio alle passeggiate: ritorna l’auto privata

Secondo il 19° Rapporto sulla mobilità Audimob – Stili e comportamenti di mobilità degli italiani, a cura di Isfort, Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti, dopo l’esplosione del 2020 la mobilità pedonale non sembra confermarsi. Nel 2021 gli spostamenti a piedi scendono al 22,7%, e nel primo semestre 2022 al 19,7%. E l’auto riconferma la sua ascesa: la quota modale raggiunge quasi la soglia del 65% (era al 59% nel 2020). Nel 2021 il parco autovetture continua a crescere, ma non a ringiovanire: il totale delle auto circolanti è di 39,8 circa milioni (100mila in più rispetto al 2019) con un tasso di motorizzazione salito a 67,2 veicoli ogni 100 abitanti. Il tasso di motorizzazione dell’Italia resta perciò tra i più alti in Europa, con un parco circolante di oltre 11 milioni di veicoli, poco meno del 30% del totale, che non supera lo standard emissivo Euro 3. 

Si riducono i passeggeri del Tpl

A fine 2022 il comparto del trasporto pubblico locale stima una riduzione dei passeggeri del -21% rispetto al 2019, e per la fine del 2023 si prevede un volume della domanda del -12% rispetto al pre-Covid. A settembre 2022 il parco autobus adibito a servizio Tpl ammonta a quasi 50.000 veicoli, di cui il 14,6% non assicurato. Sotto il profilo qualitativo, il settore soffre un ritardo strutturale nel processo di ringiovanimento del parco mezzi. In Italia, l’età media degli autobus è di circa tre anni superiore alla media europea, anche se negli ultimi anni è stata avviata un’accelerazione nel rinnovo del materiale rotabile.

Due ruote: meno bici più moto

Per quanto riguarda il mercato delle biciclette, il 2021 è stato un anno di assestamento. Secondo i dati ANCMA lo scorso anno sono state vendute in Italia poco meno di 2 milioni di biciclette, di cui 295mila e-bike (14,9% del totale), ovvero l’1,7% in meno rispetto al 2020 (-2,9% bici tradizionali, +5,4% bici elettriche). Continua invece la graduale espansione del mercato di moto e motocicli. Il parco veicolare delle due ruote si è attestato nel 2021 a 7,15 milioni di unità, +2,1% rispetto al 2020. Il numero di moto per 100 abitanti è salito a 12,1 dall’11,7 del 2020.

Crolla il tasso di mobilità sostenibile

Con queste premesse, la mobilità sostenibile ne paga le spese: Audimob, per il 2021, registra il crollo del tasso di mobilità sostenibile (viaggi effettuati a piedi, in bicicletta o con un mezzo pubblico) al 29% (37,5% nel 2020) e nel primo semestre 2022 al 26,1%.
Anche sulla sicurezza stradale, rispetto all’obiettivo europeo 2020/2030, siamo in ritardo: nel 2021 gli incidenti stradali sono stati poco più di 150.000, con un incremento di quasi il 30% rispetto al 2020.
Le vittime sono state 2.875, il 20% in più del 2020, i feriti 204.728 (+28,6%). Sono comunque numeri inferiori a quelli registrati nel 2019. Il tasso di mortalità (numero decessi ogni 100 incidenti) è sceso di una frazione di punto, attestandosi a 1,9.

Italia, prima in Europa per capacità di riciclo

“Ci sono più luci che ombre per l’Italia che ricicla i rifiuti. Il nostro Paese è leader in Europa per tasso di riciclo e secondo per tasso di circolarità. Esportiamo ancora troppi rifiuti, anche per mancanza di un adeguato sistema impiantistico, soprattutto nel Centro-Sud del Paese.
Per cogliere le sfide poste dal Pnrr e dagli obiettivi fissati a livello europeo serve puntare su strumenti (ad esempio ‘acquisti verdi delle Pa’ e incentivi fiscali su prodotti riciclati) in grado di far compiere il definitivo salto di qualità all’industria nazionale del riciclo”.
Ecco, in sintesi, cosa afferma lo studio annuale ‘L’Italia che Ricicla’, il Rapporto presentato da Assoambiente – l’Associazione che rappresenta le imprese che operano nel settore dell’igiene urbana, riciclo, recupero, economia circolare e smaltimento di rifiuti, nonché bonifiche. Insomma, il nostro Paese qualche primato positivo l’ha saputo conquistare, riferisce Adnkronos, e la medaglia di virtuosa del riciclo è quanto mai importante.

Essenziale per la resilienza economica

“Il riciclo dei rifiuti, oltre alla valenza centrale che riveste per la transizione ecologica – ha commentato Paolo Barberi, vicepresidente di Assoambiente – risulta oggi ancor più strategico per accrescere la resilienza economica del nostro Paese, tradizionalmente povero di materie prime, particolarmente in questa fase di emergenza economica-energetica maturata nel post pandemia. Il salto di qualità per il settore, anche per il buon esito della parte di Pnrr relativa alla gestione rifiuti, potrà arrivare solo con la piena implementazione delle riforme.
In tal senso, è fondamentale che venga adottata compiutamente e celermente la strumentazione economica prevista dalla Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, a partire dall’introduzione dei Certificati del Riciclo, oltre a strumenti efficaci come gli incentivi fiscali (ad esempio con Iva agevolata) per rendere competitivi i materiali riciclati rispetto alle materie prime vergini.
Altro intervento di fondamentale importanza è l’adozione in tempi brevi delle norme tecniche che dovrebbero regolamentare il settore favorendo la creazione di un mercato stabile e trasparente, siano esse relative all’End of Waste, ai sottoprodotti, o ai Criteri Ambientali Minimi per le gare pubbliche. Infine, va rafforzata e resa effettiva la domanda pubblica di prodotti riciclati”.

Performance decisamente migliori della media Ue 

L’Italia si colloca al primo posto a livello europeo per tasso di avvio al riciclo dei rifiuti (sia urbani che speciali), rispetto al totale gestito. Il dato italiano, pari all’83,2% (riferito al 2020, ultimi dati disponibili), è decisamente superiore non soltanto alla media Ue (39,2%), ma anche rispetto ai maggiori Paesi dell’Unione: Spagna (60,5%), Francia (54,4%) e Germania (44%). Guardando al tasso di circolarità dei materiali, che misura la quota di materiale riciclato e reimmesso nell’economia nell’uso complessivo dei materiali, l’Italia, con il 21,6%, si colloca poco sotto il primato della Francia (22,2%) e comunque sopra la Germania (13,4%) e la Spagna (11,2%) e, più in generale al di sopra della media Ue (12,8%).
Un trend in decisa crescita, se si tiene conto che tale indicatore si attestava al 12,6% solo 9 anni fa. Un primato che si conferma anche con riferimento al tasso di utilizzo di metalli provenienti dal riciclo, che denota il contributo offerto dai metalli riciclati al soddisfacimento della domanda complessiva: qui l’Italia costituisce addirittura il benchmark di riferimento tra i principali Stati europei con un 47,2%, con Francia (39,3%), Germania (27,3%) e Spagna (18,5%) decisamente più indietro.

È Mastodon l’alternativa per chi fugge da Twitter?

Su Twitter sta volando l’hashtag #Riptwitter, con l’ipotesi che il social venga spento tra una settimana. Di fatto, il social recentemente acquisito da Elon Musk ha comunicato ai dipendenti che gli uffici dell’azienda saranno temporaneamente chiusi con effetto immediato. La fuga verso nuovi social è quindi già iniziata, e potrebbe essere Mastodon l’alternativa a Twitter. Secondo la Cnn spicca infatti tra le mete preferite. Nato nel 2016, nelle ultime settimane Mastodon ha registrato una crescita significativa. Il suo identikit, del resto, ricorda proprio quello di Twitter. I post sono ordinati in una time-line che si aggiorna su base cronologica, senza l’influsso decisivo di algoritmi vari. Niente abbonamenti, nessuna somma da pagare, niente pubblicità, perché il social riconducibile al ‘creator’ Eugen Rochko è sostenuto da un meccanismo di crowdfunding.

Il più grande social network decentralizzato

Nella versione italiana Mastodon si descrive come la più grande rete di microblogging libera, open-source e decentralizzata al mondo. In termini più semplici, è un Twitter autogestito dagli stessi utenti: Mastodon si definisce infatti come “il più grande social network decentralizzato”. Fa parte del fediverso ed è una comunità internazionale composta da oltre 5 milioni di iscritti distribuiti su circa 12000 server indipendenti, il cui obiettivo è rimettere il social nelle mani degli utenti. A differenza dei social tradizionali, Mastodon poi è open source, non raccoglie i dati degli iscritti, non ha pubblicità o algoritmi segreti che decidono cosa ‘devi vedere’.

Da tweet a toot e da retweet a boost

Lo ‘scheletro’ delle operazioni di Mastodon ricorda quello di Twitter, e in un certo senso, facilita la transizione. Il tweet su Mastodon è un ‘toot’ che misura al massimo 500 caratteri, e il retweet è un ‘boost’. Su Mastodon, inoltre, ogni istanza ha il proprio amministratore e il proprio codice di condotta, quindi bisogna assicurarsi di leggerli prima di digitare il toot. Ad esempio, il codice di condotta di mastodon.uno prevede che alcuni tipi di contenuti saranno rimossi dalla cronologia pubblica, e possono comportare la sospensione dell’account e la revoca dell’accesso al servizio. Si tratta di razzismo, discriminazione contro il genere e le minoranze sessuali, oltre a nazionalismo xenofobo oppure violento.

Non esiste una sola applicazione

Le regole relative ai toot riguardano anche la privacy, riporta Adnkronos. Ogni messaggio, tra le varie opzioni, può essere impostato come ‘pubblico’ (significa che apparirà sulle linee temporali locali e federate), o in alternativa, può essere destinato solo ai seguaci, ovvero significa che solo i seguaci lo vedranno. Ma come si ‘usa’ Mastodon? Non esiste una sola applicazione ma diverse, adatte a quasi tutti i sistemi operativi desktop e mobile. Il social può essere utilizzato anche con un client web: il sito ufficiale di Mastodon segnala, in particolare, Halcyon e Pinafore.social.

Gli italiani e gli elettrodomestici connessi

Cosa fanno gli italiani con gli elettrodomestici connessi? Per 8 italiani su 10 avere a che fare con elettrodomestici connessi nella propria abitazione vuol dire soprattutto gestire la lavatrice o l’asciugatrice tramite app. E quali sono i cicli più usati per lavare la biancheria o le stoviglie? Non solo quello rapido, ma anche il programma ‘eco’ e quelli dedicati all’igienizzazione. E risultano in crescita anche i programmi utilizzati per lavare scarpe e piumini. È quanto emerge dai dati di una ricerca di Haier Europe, la divisione europea della multinazionale cinese degli elettrodomestici. La compagnia ha sviluppato una piattaforma con 5 milioni gli utenti dichiarati in cui l’app hOn funziona da guida per gli elettrodomestici dei marchi del gruppo, ovvero Candy, Haier e Hoover.

Cosa vuol dire connettere lavatrice, asciugatrice, lavastoviglie

Avere elettrodomestici connessi vuol dire ordinare i programmi di lavaggio per lavatrici, asciugatrici e lavastoviglie soprattutto in base a parametri che hanno impatto sulla riduzione dei consumi. Oppure significa avere una cappa che comunica con il piano cottura regolando la potenza, e di conseguenza, limitando odori, rumore, e appunto, inutili consumi. Oppure, ancora, significa avere l’asciugatrice che si sincronizza con la lavatrice, impostando automaticamente il programma e la durata ottimale sulla base di cosa e quanto si è lavato, riducendo così drasticamente i tempi di asciugatura.

Le funzioni da remoto in cucina: ottimizzare la spesa e gestire la temperatura del frigo

In cucina invece le funzioni smart consigliano ricette che ottimizzano la spesa disponibile rispetto alle date di scadenza, o gestiscono la temperatura del frigo secondo le reali esigenze dei prodotti introdotti e del meteo giornaliero, in modo da mantenerne la freschezza più a lungo ed evitare sprechi. Ma oltre alla gestione degli elettrodomestici in cucina, le funzioni smart permettono anche la gestione da remoto dei condizionatori, attivabile anche dagli smart speaker più diffusi.

La Polonia è la nazione più smart. L’Italia è al sesto posto

Tra le funzioni smart preferite dagli utenti, riporta Agi, c’è però anche quella dedicata al check up dei propri elettrodomestici, utile per monitorare e ricevere notifiche in merito alla necessità di piccole attività di manutenzione. Sempre secondo i dati di Haier Europe è la Polonia la nazione più smart in fatto di elettrodomestici connessi. Seguono la Spagna, la Repubblica Ceca, la Francia e il regno Unito. L’Italia risulta in sesta posizione, anche se con un pubblico di utenti in crescita. Germania, Grecia e Portogallo chiudono la speciale classifica di Haier Europe.

Pasta Made in Italy all’estero: ogni giorno servite 75 milioni di porzioni 

Sono 2,2 milioni di tonnellate: ogni giorno 75 milioni di porzioni di pasta italiana vengono proposte nelle case e nei ristoranti di quasi 200 Paesi. Che la si chiami noodle, nudel, pâte, massa, fideos, o macarrão, in tutto il mondo chi mangia la pasta pensa all’Italia. E in 10 anni i consumi totali all’estero sono quasi raddoppiati, da 9 milioni di tonnellate a quasi 17. Certo, noi siamo i più grandi consumatori, con circa 23 chili annui pro-capite, ma nel 2021 il 61% della produzione nazionale di penne, fusilli &co è stata destinata all’estero. Una ricerca di Unione Italiana Food è entrata nei ristoranti italiani all’estero, sfatando alcuni pregiudizi, dall’extra-cottura alle ricette che non troveremmo mai nei menu dello Stivale.

Per l’82% dei ristoratori esteri i consumi sono in crescita

Prima della pandemia, l’Economist, incoronava la cucina italiana come “la più influente al mondo”, davanti alla giapponese e quella francese. Nel 2022 sono 10 le ricette di pasta nella Top 30 della CNN dei “piatti italiani che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita”. Oggi la ricerca di Unione Italiana Food ha intervistato 60 cuochi e ristoratori italiani attivi in Germania, Francia, UK, USA, Giappone ed Emirati Arabi Uniti. E per l’82% dei ristorati interpellati, con punte più alte in Giappone e Francia, il consumo di pasta è aumentato, confermando una tendenza che si era già notata nei consumi casalinghi, durante e dopo il lockdown.

Spaghetti, linguine, bucatini cucinati secondo le regole

La pasta è molto importante nel determinare il successo del locale per il 67% dei ristoratori (80% in Francia e Germania). Il 50% dei consumi di pasta nei ristoranti è coperto da pasta secca lunga, spaghetti, linguine, bucatini e soprattutto liscia. Si cucina seguendo il modello consueto (67%, soprattutto in Francia e in Giappone), con acqua che bolle e fuoco acceso fino al raggiungimento dei tempi previsti, poi scolata e condita o risottandola (30%), cuocendola in padella con il condimento. Praticamente sconosciuta (2% solo negli USA) la cottura cosiddetta passiva (pochi minuti di bollore poi fino a quando viene scolata a fuoco spento). Una curiosità: il 22% dei ristoratori serve maxi-porzioni oltre i 100 grammi, addirittura il 60% nell’insospettabile Francia.

Ricette regionali italiani servite al dente

In compenso, la filosofia della pasta al dente, che di fatto è sinonimo di approccio italiano alla pasta, si è affermata anche all’estero. Lo afferma l’82% dei cuochi interpellati. In Francia e USA la pasta è al dente praticamente in tutti i ristoranti, mentre il 18%, con punte del 40% in Giappone, si ‘piega’ al gusto locale, che a volte la preferisce stracotta. E sono anche pochi i compromessi rispetto agli usi locali: il 55% dei ristoranti serve ricette regionali italiane, il 31% ripropone la tradizione, e solo il 14% ritiene che il glocal sia la strada giusta. Ma le ricette che hanno poco a che vedere con il Made in Italy scompaiono nel 73% dei ristoranti.

Caramelle: un mercato maturo in cerca di innovazione

Uno studio Bva Doxa, Unione italiana food accende i riflettori sul rapporto degli italiani adulti con le caramelle, un rapporto in evoluzione che l’industria cerca di anticipare con innovazioni e nuove funzioni di consumo, diversificando un’offerta già ricca per gusti e formati. Dalle mentine alle gommose, che si contendono la leadership delle preferite con quelle alle erbe balsamiche, in cima alla classifica dei gusti più apprezzati, oggi le caramelle sono consumate da 9 italiani su 10. E a mangiarle sono soprattutto gli adulti, che 8 volte su 10 le comprano per sé e non per i bambini. In Italia Il comparto delle caramelle conta 25 milioni di consumatori abituali e aziende pluricentenarie che hanno addolcito le giornate di intere generazioni.

Nel 2021 esportate oltre 19mila tonnellate

Secondo un’elaborazione Unionfood su dati Istat lo scorso anno la produzione di caramelle si è attestata appena sotto le 90mila tonnellate, -6% rispetto al 2020, per un valore di circa 763 milioni di euro. Un dato bilanciato dalle esportazioni: nel 2021 sono state esportate oltre 19mila tonnellate, con un balzo in avanti del 34% rispetto al 2020, e un valore di 64 milioni di euro. Un trend positivo proseguito nei primi sei mesi 2022, con l’export del 28%, per una quantità esportata di oltre 11,6 mila tonnellate e un valore di quasi 40 milioni di euro. A premiare di più è il mercato tedesco, seguito da Paesi Bassi, Stati Uniti, Belgio e Francia.

Nel futuro meno ingredienti e più qualità

Il settore delle caramelle conta su circa 7.000 addetti, e ora cerca di intercettare i gusti dei consumatori moderni, che preferiscono quelle senza zucchero (56%) a quelle con lo zucchero (+44%). Un segnale di attenzione ad aspetti salutistici che nei prossimi anni potrebbe accelerare un percorso di sviluppo in questa direzione.
“Il consumo delle caramelle classiche è ormai stabile, parliamo di un mercato maturo che non ha spunti verso l’alto – spiega Luigi Serra, produttore e portavoce del progetto Piacere, caramelle di Unione italiana food -. Nel futuro cambierà la specializzazione della caramella: all’estero sono già diffuse le caramelle nutraceutiche: io penso che questa parte funzionale si accentuerà. E poi c’è il megatrend della ‘sottrazione’: meno ingredienti e più qualità”.

Aziende in difficoltà: raddoppiano i costi delle materie prime

Le prospettive di sviluppo, tuttavia, non possono non prescindere dall’attuale congiuntura economica, tra inflazione galoppante e rincari delle materie prime.
“Quella delle caramelle – continua Serra – è una produzione energivora, e gli aumenti del costo del gas mandano in difficoltà le aziende, ma l’aggravante sono i costi delle materie prime derivanti dai cereali, come lo sciroppo di glucosio e lo zucchero i cui costi sono raddoppiati”.
Intanto le caramelle, riferisce Askanews, provano a resistere, reinventandosi e conservando un posto nella quotidianità degli italiani, che le scelgono come gesto di cura per sé (45%), o regalandosi un viaggio nel passato. La caramella, insomma, è una moderna madeleine che evoca la dolcezza del tempo perduto.

Cloud ibrido guida la trasformazione digitale, ma mancano le competenze

Oltre il 77% delle organizzazioni aziendali globali adotta un approccio cloud ibrido, in grado di aiutare a guidare la trasformazione digitale. La maggior parte delle organizzazioni però sta lottando con la complessità necessaria per far funzionare insieme tutti i loro ambienti cloud. Poiché le organizzazioni devono affrontare lacune di competenze, sfide di sicurezza e ostacoli alla conformità, meno di un quarto delle aziende in tutto il mondo gestisce i propri ambienti cloud ibridi in modo olistico, il che può creare punti ciechi e mettere a rischio i dati. Lo rivela una nuova ricerca di internazionale, l’IBM Transformation Index: State of Cloud, condotto da The Harris Poll. 

Poche aziende sono davvero digitalmente ‘avanzate’

L’indice indica una forte correlazione tra l’adozione del cloud ibrido e il progresso nella trasformazione digitale. Infatti, il 71% degli intervistati pensa che sia difficile realizzare il pieno potenziale di una trasformazione digitale senza disporre di una solida strategia di cloud ibrido. Allo stesso tempo, solo il 27% delle aziende possiede le caratteristiche necessarie per essere considerata ‘avanzata’ nella trasformazione. Le aziende ritengono che garantire la conformità nel cloud sia attualmente troppo difficile, soprattutto perché in tutto il mondo si assiste all’inasprimento dei requisiti normativi.

Gli ostacoli all’innovazione

Quando si tratta di gestire le proprie applicazioni cloud, il 69% afferma che il proprio team non ha le competenze necessarie per essere competente. Questo è un ostacolo all’innovazione, con più di un quarto degli intervistati che afferma come la carenza di talenti stia ostacolando gli obiettivi cloud della propria azienda.
Queste limitazioni impediscono alle organizzazioni anche di sfruttare il potere delle partnership. Più di un terzo degli intervistati afferma che la mancanza di competenze tecniche li trattiene dall’integrare con i partner dell’ecosistema negli ambienti cloud. Questa sfida è ancora più grande negli Stati Uniti, dove quasi il 40% ammette questa mancanza di competenze indicando una forte necessità di talenti.

Il problema della sicurezza

Se oltre il 90% dei servizi finanziari, Tlc e organizzazioni governative adotta strumenti di sicurezza (capacità informatiche riservate, autenticazione a più fattori e altro), permangono lacune che impediscono alle organizzazioni di promuovere l’innovazione. Il 32% degli intervistati cita la sicurezza come la principale barriera per i carichi di lavoro integrati in tutti gli ambienti, e più di un quarto concorda che i problemi di sicurezza rappresentano un ostacolo al raggiungimento dei propri obiettivi di business nel cloud. I problemi di sicurezza possono anche impedire alle organizzazioni di sbloccare il pieno potenziale delle partnership.
Potenziali lacune nella sicurezza possono far incombere rischi a terze e quarte parti. La governance dei dati (49%) e la sicurezza informatica (47%) sono quindi le principali sfide per integrare completamente l’ecosistema aziendale nel cloud.

Il bene rifugio? Resta la casa: aumentano le intenzioni di acquisto

A settembre, tornati dalle vacanze, gli italiani fanno i conti con i desideri e le incognite che ci aspettano nel prossimo futuro. Non è quindi una casualità se, ancora una volta, i nostri connazionali scelgono di investire nel bene rifugio per eccellenza, la casa, tanto che le intenzioni di acquisto sono aumentate decisamente rispetto alla precedente rilevazione. A dirlo è l’Osservatorio mensile Findomestic di settembre, che evidenzia che il numero di italiani intenzionato ad acquistare un immobile nuovo nei prossimi tre mesi è cresciuto del 9,8% rispetto al mese precedente. Non solo: chi ha espresso l’intenzione di acquistare una casa nuova, ha anche manifestato il desiderio di rendere l’abitazione più efficiente sotto il profilo energetico, installando fotovoltaico, pompe di calore e nuovi elettrodomestici a basso consumo. Altri dati che emergono dal report sono i segnali positivi dal comparto mobilità e tecnologia, anche se cresce il timore per il possibile stop delle forniture. 

Obiettivo efficientamento

I nostri connazionali spingono su progetti per rendere più efficienti le proprie abitazioni contro il caro-energia: fotovoltaico (+32,6%, ai massimi livelli degli ultimi 12 mesi), pompe di calore (+17,4%), grandi e piccoli elettrodomestici (rispettivamente +10,4% e + 9,7%), infissi (+9,2%) e caldaie a condensazione o biomassa (+4,1%). L’ambiente domestico si può migliorare anche grazie a nuovi mobili (+12,6% di intenzioni d’acquisto) o acquistando una nuova TV, segmento che si conferma su livelli alti grazie all’effetto switch-off con un incremento del 12%. Solo i lavori di isolamento termico sono in controtendenza: -3,9%. “La rilevazione che abbiamo condotto negli ultimi giorni di agosto – commenta Claudio Bardazzi, Responsabile Osservatorio Findomestic – evidenzia come, nonostante le difficoltà del contesto, gli italiani non rinunciano a progettare acquisti importanti per l’autunno. Le paure più grandi rimangono la crescita dei prezzi (50%) e il rischio recessione per il Paese (43%) ma registriamo una crescita sensibile del timore che non sia garantita la fornitura energetica nel prossimo autunno (per il 26% è una delle ansie principali contro il 18% di luglio)”. 

Torna e crescere l’e-commerce 

Dopo l’exploit di luglio in cui il 61% del campione ha dichiarato di preferire generalmente acquistare nei negozi piuttosto che online (39%), in agosto l’Osservatorio Findomestic ha registrato una nuova inversione di tendenza con una prevalenza dell’online (57%) rispetto al punto vendita fisico (43%). Entrando nello specifico delle diverse categorie merceologiche ci sono, tuttavia, acquisti per i quali gli italiani non possono fare a meno del negozio fisico: l’89% va in concessionario per acquistare auto e moto, l’85% fa la spesa quotidiana in negozio e l’83% compra i mobili sul punto vendita fisico . Decisamente “più digitalizzati” i mercati dei beni tecnologici: se per comprare grandi elettrodomestici la preferenza è ancora verso il negozio (70% contro 30%), per i piccoli il campione è diviso esattamente a metà, così come per i prodotti informatici. Per telefonia e accessori c’è addirittura un leggero vantaggio dell’online sul negozio (53% contro 47%). Secondo l’indagine, il consumatore cerca oggi sia in negozio che sul web soprattutto offerte e convenienza ma, se dal punto vendita fisico si aspetta subito dopo qualità e assistenza da parte del personale, dall’online pretende servizi e consegna veloci e flessibili, un sito facile da usare, ampia scelta e un’efficace gestione della privacy.