Smart working, non solo vantaggi: il prezzo del lavoro da remoto

Comodo, efficace, utilissimo quando non si poteva fare che così: ma lo smartworking, fra tutti i i suoi aspetti positivi (è stato un “salvavita” nei periodi duri del lockdown) adesso presenta il conto. E non tutti gli italiani lo amano: sebbene il bilancio sia positivo sul fronte dell’aumentata possibilità di conciliare i tempi di vita e di lavoro, ci sono anche diverse zone d’ombra che possono avere effetti anche sul clima aziendale e sulle relazioni di lavoro, fino ad arrivare alla disaffezione. Lo rivela il capitolo “Smart working, una rivoluzione nel lavoro degli italiani”, contenuto nel Rapporto “Gli italiani e il lavoro dopo la grande emergenza”.

A casa è meglio sì o no?

Ecco qualche dato emerso dalle ricerca: il 16,7% dei lavoratori intervistati guarda allo smart working come un punto di non ritorno della propria vita professionale; oltre il 10,7% cercherebbe un qualsiasi altro lavoro pur di svolgerlo da casa. Il 43,5% si adatterebbe al ritorno in ufficio, ma 4 su 10 sarebbero contenti di tornare a lavorare tutti i giorni in presenza. Quello che cambia, a livello di percepito, è determinato da diversi fattori, come il genere, l’età o la presenza o meno di figli a casa. In generale, sono gli uomini quelli che hanno più sofferto l’home working, sia sotto il profilo della carriera sia sotto quello delle relazioni (52,4% contro 45,7% delle donne), anche se ne hanno beneficiato in produttività e concentrazione. Le donne, invece, hanno patito l’allungamento dei tempi di lavoro (57% contro il 50,5% degli uomini) e l’inadeguatezza degli spazi casalinghi (42,1% contro 37,9%), evidenziando un maggior rischio di disaffezione verso il lavoro (44,3% rispetto al 37% dei colleghi).

Work-life balance… in bilico tra le quattro mura

Se in sei casi su dieci lo smart working ha consentito di conciliare meglio professione e vita privata, non è stato così per chi aveva maggiori carichi familiari. In primis le coppie, il cui work-life balance è peggiorato per il 43% del campione. Ma l’home working ha avuto anche ricadute pratiche, in termini di spesa e disturbi fisici legati a postazioni domestiche inadeguate. Il 71,1% dichiara di aver diminuito le spese per spostamenti, vitto e vestiario, investendo in consumi legati al tempo libero nel 54,7% dei casi, ma il 48,3% paga il conto per l’utilizzo di sedie e scrivanie improvvisate e il 39,6% lamenta l’inadeguatezza degli spazi e delle infrastrutture, come i collegamenti di rete.