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Il bene rifugio? Resta la casa: aumentano le intenzioni di acquisto

A settembre, tornati dalle vacanze, gli italiani fanno i conti con i desideri e le incognite che ci aspettano nel prossimo futuro. Non è quindi una casualità se, ancora una volta, i nostri connazionali scelgono di investire nel bene rifugio per eccellenza, la casa, tanto che le intenzioni di acquisto sono aumentate decisamente rispetto alla precedente rilevazione. A dirlo è l’Osservatorio mensile Findomestic di settembre, che evidenzia che il numero di italiani intenzionato ad acquistare un immobile nuovo nei prossimi tre mesi è cresciuto del 9,8% rispetto al mese precedente. Non solo: chi ha espresso l’intenzione di acquistare una casa nuova, ha anche manifestato il desiderio di rendere l’abitazione più efficiente sotto il profilo energetico, installando fotovoltaico, pompe di calore e nuovi elettrodomestici a basso consumo. Altri dati che emergono dal report sono i segnali positivi dal comparto mobilità e tecnologia, anche se cresce il timore per il possibile stop delle forniture. 

Obiettivo efficientamento

I nostri connazionali spingono su progetti per rendere più efficienti le proprie abitazioni contro il caro-energia: fotovoltaico (+32,6%, ai massimi livelli degli ultimi 12 mesi), pompe di calore (+17,4%), grandi e piccoli elettrodomestici (rispettivamente +10,4% e + 9,7%), infissi (+9,2%) e caldaie a condensazione o biomassa (+4,1%). L’ambiente domestico si può migliorare anche grazie a nuovi mobili (+12,6% di intenzioni d’acquisto) o acquistando una nuova TV, segmento che si conferma su livelli alti grazie all’effetto switch-off con un incremento del 12%. Solo i lavori di isolamento termico sono in controtendenza: -3,9%. “La rilevazione che abbiamo condotto negli ultimi giorni di agosto – commenta Claudio Bardazzi, Responsabile Osservatorio Findomestic – evidenzia come, nonostante le difficoltà del contesto, gli italiani non rinunciano a progettare acquisti importanti per l’autunno. Le paure più grandi rimangono la crescita dei prezzi (50%) e il rischio recessione per il Paese (43%) ma registriamo una crescita sensibile del timore che non sia garantita la fornitura energetica nel prossimo autunno (per il 26% è una delle ansie principali contro il 18% di luglio)”. 

Torna e crescere l’e-commerce 

Dopo l’exploit di luglio in cui il 61% del campione ha dichiarato di preferire generalmente acquistare nei negozi piuttosto che online (39%), in agosto l’Osservatorio Findomestic ha registrato una nuova inversione di tendenza con una prevalenza dell’online (57%) rispetto al punto vendita fisico (43%). Entrando nello specifico delle diverse categorie merceologiche ci sono, tuttavia, acquisti per i quali gli italiani non possono fare a meno del negozio fisico: l’89% va in concessionario per acquistare auto e moto, l’85% fa la spesa quotidiana in negozio e l’83% compra i mobili sul punto vendita fisico . Decisamente “più digitalizzati” i mercati dei beni tecnologici: se per comprare grandi elettrodomestici la preferenza è ancora verso il negozio (70% contro 30%), per i piccoli il campione è diviso esattamente a metà, così come per i prodotti informatici. Per telefonia e accessori c’è addirittura un leggero vantaggio dell’online sul negozio (53% contro 47%). Secondo l’indagine, il consumatore cerca oggi sia in negozio che sul web soprattutto offerte e convenienza ma, se dal punto vendita fisico si aspetta subito dopo qualità e assistenza da parte del personale, dall’online pretende servizi e consegna veloci e flessibili, un sito facile da usare, ampia scelta e un’efficace gestione della privacy.

Comodi, sani e sostenibili: sono i prodotti di IV Gamma

Cosa sono i prodotti di IV gamma? Frutta, verdura, e in generale, ortaggi freschi a elevato contenuto di servizio, confezionati in busta o in vaschette, e pronti per il consumo. Molto apprezzati dagli italiani, perché comodi, sani, sicuri e sostenibili, sono però ancora vittime dei pregiudizi e di alcuni comportamenti sbagliati tra i consumatori. È quanto emerge da un’indagine Bva-Doxa, commissionata dal Gruppo IV Gamma di Unione Italiana Food. Di fronte a una serie di possibili definizioni, solo il 34% sceglie quella corretta, l’11% invece risponde erroneamente che si tratta di ‘prodotti freschi, confezionati, da rilavare prima del consumo’, il 9% li confonde con i surgelati e il 7% con verdure in conserva.

I vantaggi per le famiglie

I risultati mostrano la grande penetrazione dei prodotti di IV Gamma nelle famiglie italiane: il 38% li acquista tutte le settimane, il 36% 2-3 volte al mese e solo il 7% dichiara di non acquistarli mai.
Ma quali sono i principali motivi per cui gli italiani scelgono la IV Gamma? Il 58% dichiara di acquistarli per comodità e risparmiare tempo, il 34% per la porzionatura, il 30% perché si evitano sprechi di prodotto, e il 26% perché sono prodotti che aiutano a facilitare il consumo di verdure. Infatti, i principali vantaggi riconosciuti dagli italiani sono l’essere pronti all’uso (39%), non devono essere puliti e rilavati (19%), evitano gli sprechi (19%), sono sicuri dal punto di vista igienico e sono controllati (13%), si può verificarne l’etichetta (5%) e la provenienza (5%).

L’insalata è la regina

Tra i prodotti di IV gamma, la regina incontrastata è l’insalata in busta, acquistata dall’81% del campione, seguita da ciotole di insalata (40%), frutta lavata e tagliata (30%) e zuppe (29%).
Per quanto riguarda la frutta, il 16% dichiara di comprarla tutte le settimane, il 27% 2-3 volte al mese, il 33% 1 volta al mese o meno, mentre il 24% dichiara di non acquistarla mai. Tra le motivazioni di acquisto della frutta di IV gamma, oltre a praticità e comodità (61%), spicca la ‘possibilità di consumare frutta esotica comodamente’ (32%). Il 17% invece la acquista perché rappresenta una merendina pratica per i bambini, e il 10% la utilizza nella preparazione dei dolci.

Sostenibilità nella filiera

Nonostante l’apprezzamento degli italiani, sussistono ancora comportamenti errati e false credenze: solo il 34% si comporta correttamente, trasportando i prodotti di IV Gamma all’interno di borse frigo.
In relazione alla riduzione degli sprechi, per il 48% la IV gamma è migliore rispetto agli ortofrutticoli freschi. Analogamente, in relazione all’utilizzo di acqua, il 39% dichiara che garantisce un risparmio idrico rispetto alla preparazione domestica, ma c’è ancora 1 italiano su 4 che sostiene il contrario.
Dal punto di vista igienico, il 29% ritiene che la IV gamma sia migliore rispetto agli ortofrutticoli freschi preparati in casa, ma dal punto di vista nutrizionale quasi 1 italiano su 5 non sa quanto questi prodotti siano nutrienti.

Mercato italiano del pet: il 2021 chiude con il segno “+”

Nel periodo 2007-2021 il mercato italiano dei prodotti per l’alimentazione di cani e gatti ha più che raddoppiato il fatturato, passando da 1.163 a 2.533 milioni di euro, con un tasso di crescita medio annuo delle vendite a valore del +5,7%. A detenere saldamente il ruolo di protagonista nel mercato italiano dei piccoli animali, nonché la componente più rilevante del pet food italiano, è infatti sempre l’alimentazione di gatti e cani, 
È uno dei dati emersi dal Rapporto Assalco-Zoomark 2022 sull’andamento del mercato del pet in Italia, giunto alla quindicesima edizione. Il Rapporto fotografa l’evoluzione del mercato dell’alimentazione e della cura degli animali da compagnia in Italia, confermando una crescita inarrestabile.

Una crescita grazie al maggior numero di adozioni
Secondo i dati IRI, rispetto al 2020, l’incremento del fatturato complessivo è pari al 7,1% e quello dei volumi al 5%. L’accelerazione che questa crescita ha subìto negli ultimi due anni è riconducibile anche al maggior numero di adozioni di cani e gatti, coincisa con la fine del primo lockdown del 2020. L’aumento del numero di proprietari si è tradotto in una crescita consistente delle famiglie acquirenti di alimenti per cani e gatti, che hanno raggiunto quota 12,2 milioni. Circa 1 milione in più rispetto all’anno precedente, per lo più costituite da giovani e di condizione socio-economica medio-alta. La penetrazione di queste famiglie ha raggiunto il 46,9% del totale delle famiglie italiane, +3,4% rispetto allo scorso anno.


Petshop GDO o canale online?
Rispetto a 15 anni fa, il mercato del pet food vede profondamente mutato il peso del canale specializzato e del Grocery: il primo ha avuto un tasso di sviluppo in valore medio annuo pari a +8,3%, ovvero il doppio del secondo (+4%). Tra i canali emergenti, il Rapporto segnala il Petshop GDO e il canale online, che ha raggiunto un peso sul totale del mercato pari al 2,4%. Sviluppato durante l’emergenza sanitaria, l’online ha attirato e fidelizzato nuovi shopper, abbattendo molte barriere culturali e conoscitive, che fino a un paio di anni fa sembrava potessero frenarlo.


Il segmento più dinamico è quello delle lettiere
La crescita del pet food è sostenuta soprattutto dallo sviluppo dei prodotti premium e superpremium, che sono sinonimo di innovazione e di una sempre maggiore attenzione al benessere dei pet. Quello dei prodotti per l’igiene, i giochi e gli accessori è infatti un mercato estremamente vitale, che ottiene ottime performance nel canale GDO, per un +5,8% rispetto al periodo precedente. Il segmento più dinamico si conferma quello delle lettiere, con una crescita del 5% nell’anno terminato a dicembre 2021.

Il vino e i giovani: cresce il consumo, ma responsabile e di qualità

Secondo lo studio di Enpaia-Censis, dal titolo Responsabile e di qualità: il rapporto dei giovani col vino, i numeri parlano chiaro. Dal 1993 al 2020 il vino ha visto crescere la quota di giovani che lo consuma, passati dal 48,7% al 53,2%. Al contempo, i giovani che bevono più di mezzo litro al giorno è scesa dal 3,9% a meno dell’1%. Infatti, tra i giovani che consumano vino, il 70,9% lo fa raramente, il 10,4% uno o due bicchieri al giorno e il 17,3% solo stagionalmente. Insomma, il consumo di vino è una invariante delle abitudini, componente significativa della buona dieta guidata dalla ricerca della qualità e dal suo ruolo di moltiplicatore della buona relazionalità. Ma è anche un prodotto strategico per l’economia italiana, con un sensibile incremento di consumatori tra i giovani, che scelgono di bere in maniera responsabile e vedono nell’italianità il principale criterio di scelta.

“Mi piace bere vino, ma senza eccessi”

Il 79,9% dei giovani tra 18 e 34 anni afferma che nel rapporto con il vino vale la logica meglio meno, ma di qualità, e il 70,4% dichiara: “Mi piace bere vino, ma senza eccessi”.
Insomma, il vino richiama l’idea di un alimento che dà piacere e contribuisce al benessere soggettivo, non di un catalizzatore di sregolatezza. L’italianità come criterio di scelta è invece segnalata dal 79,3% dei giovani, perché percepita come garanzia di qualità. Il riferimento alle certificazioni Dop (85,9%) o Igp (85,2%) mostra poi come i giovani siano attenti al legame tra vini e territorio. Un segnale della riscoperta nella cultura del consumo giovanile della tipicità locale.

Tipicità, marchio e sostenibilità

La tipicità, proiezione anche della biodiversità del nostro territorio, è infatti una bussola nelle scelte dei giovani consumatori: il 94,9% dichiara di acquistare spesso prodotti tipici dei territori del nostro Paese. Il marchio del prodotto, invece, conta per il 36,1% dei giovani, mentre è alta la valutazione che viene data della tracciabilità dei prodotti, vino incluso. Il 92% dei giovani, riporta Italpress, è pronto a pagare qualche euro in più sul prezzo base per i prodotti di cui riescono a conoscere biografia e connotati. Il 56,8%, poi, è ben orientato verso vini biologici e apprezza aziende agricole attente alla sostenibilità ambientale.

Un parte integrante del nostro stile di vita

“Quello vitivinicolo è un settore di assoluto prestigio, molto valorizzato soprattutto dai giovani, che nelle loro scelte di consumo mostrano particolare considerazione verso il vino biologico e di qualità – commenta Giorgio Piazza, presidente della Fondazione Enpaia -. I giovani bevono vino in maniera moderata e responsabile, aprendosi così alla convivialità e alla socialità”.
Non è n caso che il vino sia al centro di momenti significativi di convivialità anche negli esercizi pubblici, “di cui gli italiani hanno avuto nostalgia nell’emergenza sanitaria – aggiunge Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis -. Un rapporto maturo e responsabile col vino, quindi, è parte integrante del nostro stile di vita, tanto apprezzato nel mondo”.

L’Italia è seconda in Europa per le accise sulla benzina

Se ne sono accorti tutti gli automobilisti italiani: tra l’impennata dei prezzi delle materie prime come conseguenza indiretta della pandemia da Covid-19 e le recenti tensioni in Ucraina i costi del carburante stanno lievitando. La benzina ha infatti superato i 2 euro al litro, e secondo i calcoli di Facile.it sui dati dell’European Environment Energy, nel corso del 2022 arriveremo a spendere oltre 1.750 euro all’anno per fare il pieno a un’auto alimentata a benzina. Per scongiurare questa onerosa eventualità, fra le ipotesi di intervento proposte da vari Governi nel corso degli anni, e caldeggiate da molti consumatori, c’è il taglio delle accise. Ma quanto incidono effettivamente le ‘tasse’ sul carburante in Italia e negli altri Paesi europei?

Per ogni litro di benzina si versano 0,73 euro di tasse 

Secondo Facile.it, si escludono i Paesi Bassi, dove le accise sono pari a 0,79 euro al litro, è il nostro Paese a vantare le accise sulla benzina più alte d’Europa: si tratta infatti di 0,73 euro per ogni litro di benzina erogato. Di fatto in Italia le accise contribuiscono a poco meno della metà del prezzo finale della benzina, e se a queste si aggiunge l’Iva, si arriva a oltre la metà del costo riportato alle pompe dai benzinai. Dopo l’Italia, la classifica dei Paesi europei con le accise sulla benzina più alte d’Europa prosegue con la Finlandia e la Grecia a parimerito, dove pesano per 0,70 euro ogni litro, mentre appena fuori dalla top five si piazzano la Francia, con 0,68 euro al litro, e la Germania, con 0,65 euro al litro.

Siamo al primo posto per le accise sul diesel: 0,62 euro per ogni litro

Per quanto riguarda il diesel, invece, il nostro Paese è quello con le accise più alte. Si tratta infatti di 0,62 euro per ogni litro di carburante. Sul secondo e sul terzo gradino del podio si trovano rispettivamente il Belgio, con 0,60 euro di accise al litro, e la Francia, con 0,59 euro.

In Bulgaria le accise sono circa la metà di quanto rilevato in Italia

Al contrario, riferisce Adnkronos, sia per quanto riguarda la benzina sia per il diesel, è la Bulgaria il paese che detiene il primato dello Stato con le accise più basse di tutta Europa. In Bulgaria infatti si spendono rispettivamente 0,36 euro e 0,33 per ogni litro, circa la metà di quanto rilevato in Italia da Facile.it.

Nel 2021 il mercato cybersecurity in Italia raggiunge 1,55 miliardi

È un vero e proprio boom per il mercato della cybersecurity, che in Italia nel 2021 raggiunge un valore di 1,55 miliardi di euro, il 13% in più rispetto al 2020.
Un ritmo di crescita mai così elevato, con il 60% delle grandi organizzazioni che prevede un aumento del budget destinato alle attività di sicurezza informatica. 
Secondo i risultati della ricerca dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection della School of Management del Politecnico di Milano, il rapporto tra spesa in cybersecurity e Pil resta però limitato (0,08%), e all’ultimo posto tra i Paesi del G7, ma l’Italia insieme al Giappone è l’unica nazione a non aver registrato una diminuzione nel corso dell’ultimo anno. In ogni caso, il mercato italiano di cybersecurity è composto per il 52% da soluzioni come Vulnerability Management e Penetration Testing, SIEM, Identity and Access Management, Intrusion Detection, Data Loss Prevention, Risk and Compliance Management e Threat Intelligence, e per il 48% da servizi professionali e servizi gestiti.

Il 31% della spesa è dedicata a Network & Wireless Security 

Gli aspetti di security più tradizionali continuano a coprire le quote maggiori del mercato, con il 31% della spesa dedicata a Network & Wireless Security, ma gli aumenti più significativi riguardano Endpoint Security e Cloud Security. Con le nuove modalità di lavoro, la protezione dei dispositivi continua a essere un elemento cruciale e l’adozione di applicazioni e piattaforme Cloud rende necessaria una specifica attenzione a questo ambito. La dinamicità del mercato viene poi confermata sul lato offerta dalle 13 operazioni straordinarie di acquisizione, aggregazione e quotazione che hanno riguardato 24 realtà italiane di servizi e soluzioni in ambito security, per un giro d’affari pari a diverse centinaia di milioni di euro.

L’organizzazione della sicurezza informatica in azienda

Dopo anni in cui l’organizzazione della cybersecurity è stata pressoché cristallizzata, nel 2021 cresce di 5 punti la presenza formale del responsabile della sicurezza informatica. Il presidio è oggi affidato nel 46% delle imprese italiane al ChiefInformation Security Officer, che nella maggioranza dei casi riporta alla Direzione IT (34%) e ha un team dedicato a supporto nel 78% dei casi. Il 58% delle imprese poi ha definito un piano di formazione strutturato sulle tematiche di cybersecurity e data protection rivolto a tutti i dipendenti, mentre l’11% si è focalizzato sulla formazione di specifiche funzioni più a rischio. 

La gestione del rischio

Nel 30% dei casi sono state realizzate azioni di sensibilizzazione meno strutturate e sporadiche, mentre solo nell’1% non sono del tutto previste attività di formazione.
Il Covid-19 ha comunque lasciato uno strascico negativo nell’approccio al rischio cyber, aumentando la difficoltà nell’adottare una visione olistica e strategica.
Se il numero complessivo di aziende che lo affrontano rimane invariato (38%), diminuiscono dell’11% quelle che lo gestiscono in un processo integrato di risk management. Aumentano invece le organizzazioni che lo trattano come un rischio a sé stante all’interno di una singola funzione (49%).

Natale e Capodanno 2022: record per l’export agroalimentare Made in Italy

Un record storico: la proiezione della Coldiretti su dati Istat del commercio estero relativa al mese di dicembre 2021 registra un aumento a doppia cifra per il valore delle esportazioni dei prodotti tipici del Natale. Dallo spumante (+29%) ai panettoni (+25%), fino al caviale Made in Italy, che con un +146% segna un boom sui mercati internazionali, nel periodo delle festività di Natale e Capodanno l’export alimentare Made in Italy ha raggiunto 4,4 miliardi di euro, l’11% in più rispetto allo scorso anno.

Sulle tavole di tutto il mondo si festeggia con lo spumante italiano

Sempre più gettonate sono anche le paste farcite tradizionali, come i tortellini (+4%), o i formaggi italiani, che registrano un aumento in valore delle esportazioni del 12%, o ancora prosciutti, cotechini e salumi (+12%). Ma a guidare la classifica di questo Natale all’estero è lo spumante italiano, che traina l’intero settore dei vini, per i quali si segnala complessivamente un aumento del 15%.
Del resto, le vittorie ‘in trasferta’ dell’agroalimentare tricolore non si contano più, dalla crescita della birra italiana (+10%) nella Germania dell’Oktoberfest a quella del caviale (+150%) nella Russia del beluga.

Un successo che spinge il valore dell’intera filiera

Un trend che dimostra come il settore agroalimentare sia uscito dalla crisi generata dalla pandemia più forte di prima, tanto da raggiungere a fine anno il record storico nelle esportazioni con una quota di 52 miliardi, il massimo di sempre. Il successo dell’export spinge anche il valore complessivo della filiera agroalimentare, che nel 2021, nonostante le difficoltà legate alla pandemia, è diventata la prima ricchezza dell’Italia, per un valore di 575 miliardi di euro e un aumento del 7% rispetto all’anno precedente.

I prodotti alimentari italiani valgono quasi un quarto del Pil nazionale 

Il risultato è che il Made in Italy a tavola oggi vale quasi un quarto del Pil nazionale, riporta Adnkronos, e dal campo alla tavola vede impegnati 4 milioni di lavoratori in 740 mila aziende agricole, 70 mila industrie alimentari, oltre 330 mila realtà della ristorazione e 230 mila punti vendita al dettaglio. Una rete diffusa lungo tutto il territorio che viene quotidianamente rifornita dalle campagne italiane, dove stalle, serre e aziende hanno continuato a produrre nonostante le difficoltà legate al Covid, garantendo le forniture di prodotti alimentari non solo sulle tavole degli italiani, ma in tutto il mondo.

Nel 2021 gli acquisti biologici online crescono del 67%

Gli acquisti di prodotti bio continuano a crescere, sia sul mercato interno, con un valore di 4,5 miliardi di euro (+234% rispetto al 2008), sia sui mercati internazionali, dove il valore dell’export bio italiano sui mercati esteri si attesta a 2,9 miliardi di euro (+671% rispetto al 2008). E il 2021 ha consolidato i già positivi risultati del 2020, con un’ulteriore crescita del 5% in un solo anno. Insomma, sono sempre più numerosi gli italiani che scelgono il biologico, 23 milioni di famiglie che consumano prodotti alimentari bio, 10 milioni in più rispetto al 2012. Secondo l’Osservatorio Nomisma, le performance più brillanti riguardano le vendite online veicolate dalla grande distribuzione, la Gdo, tanto che nel 2021 questo canale ha raggiunto una dimensione pari a 75 milioni di euro, segnando una crescita del 67% in un solo anno. Un ulteriore balzo che conferma lo sprint registrato ai tempi del lockdown.

La pandemia spinge il bio nell’e-grocery

A cambiare radicalmente le abitudini di consumo degli italiani è stata infatti la pandemia. Rispetto allo stesso periodo 2019, le vendite bio nell’e-grocery sono cresciute del +214% durante il periodo di lockdown, e tra maggio e agosto 2020 le vendite di alimentari bio hanno continuato a correre (+182%, rispetto allo stesso periodo 2019) fino alla conferma registrata nel 2021 (+67%). Per questo motivo, FederBio Servizi e Nomisma Digital hanno deciso di unire le forze per sostenere l’intero settore biologico italiano, lanciando il progetto e-BIO, una piattaforma di servizi in grado di rispondere alle esigenze di sviluppo degli strumenti e delle strategie di e-commerce delle aziende biologiche, riporta Askanews.

Cogliere le opportunità presenti sul canale e-commerce

“L’aumento dei consumi bio, la crescente attenzione degli italiani verso i temi di salute e sostenibilità e le nuove opportunità derivanti dalle politiche rivelano una sfida che le aziende del mondo biologico devono riuscire a cogliere europee – spiegano i promotori -. Il settore del biologico ha infatti delle specificità che vanno tenute presenti se si vogliono cogliere appieno le opportunità che oggi sono presenti sul canale e-commerce e che possono essere intercettate pienamente solo avendo una approfondita conoscenza del prodotto, del mercato, del consumatore e del processo di vendita online”.

La transizione digitale delle imprese agroalimentari è un asset imprescindibile

La mission di e-BIO è quindi quella di supportare il sistema agroalimentare italiano e i suoi attori per cogliere pienamente le opportunità di sviluppo delle produzioni biologiche, riferisce il Sole 24 Ore.
“Il canale e-commerce diventa un asset sempre più strategico – commenta Silvia Zucconi, responsabile market intelligence Nomisma -: il trend positivo continuerà anche nei prossimi anni considerata la progressiva crescita degli acquirenti online e le caratteristiche del profilo del consumatore bio. La transizione digitale delle imprese agroalimentari diventa così un asset imprescindibile”. 

Italiani e pasta, la passione diventa “alternativa

I grandi amori sono per sempre, e tra questi non si può non annoverare anche la passione per la pasta. Che il rapporto fra gli italiani e il primo piatto più famoso del pianeta sia stretto, strettissimo, è un dato assodato. Ora però si scopre che sono sempre di più le persone interessate a scoprire nuovi tipi di pasta, le cosiddette “alternative” percepite come salutari o con precise caratteristiche. Fatto sta che nell’ultimo periodo l’80% delle persone ha provato almeno una volta un tipo di pasta alternativa, mentre un italiani su 5 (pari al 18%) la mangia abitualmente. L’ultimo report in merito ai consumi di pasta è firmato da Everli, il marketplace della spesa online, che ha approfondito il rapporto degli abitanti dello Stivale con la pasta, analizzandone i consumi e investigando il loro approccio verso quelle “diverse”, ovvero quelle che non sono la pasta all’uovo, di semola di grano duro e ripiena. Dal report di scopre anche che i principali fan di nuovi tipi di pasta sono soprattutto le donne – che rappresentano più della metà (60%) – di cui il 58% ha 25-39 anni. Tuttavia, per ora, gli italiani preferiscono continuare a mangiare tradizionale e alternativo, senza fare distinzioni nette fra i diversi tipi di pasta e soprattutto senza rinunce.

La preferita? Di semola e corta

Ma qual è la pasta prediletta dai nostri connazionali? Non ci sono dubbi: è quella di semola e corta. Nello specifico, se si guarda al ranking delle 10 province in cui nel 2020 si è speso di più per l’acquisto di pasta, fanno eccezione solo Biella, Bolzano e Lodi, dove ravioli e tortellini la fanno da padrone –seconda scelta questa invece per quasi tutte le restanti province, fatta eccezione di Caserta, dove sono gnocchi e la pasta “alternativa” a chiudere il podio. Curioso notare che solo 3 province su 10 (L’Aquila, Sondrio e Pescara) inseriscono tra le prime tre preferenze di acquisto anche la pasta di semola lunga. Anche quando si guarda alle paste non-tradizionali,  vince sempre quella corta. Considerando, infatti, i 10 prodotti più comprati dagli italiani, la tipologia di pasta “alternativa” più apprezzata è quella integrale (8 su 10) e corta (7 su 10). Chi non opta per l’integrale è perché compra pasta gluten free oppure pasta di mais e riso (sempre senza glutine).

Perchè si sceglie l’alternativa

Quali sono le ragioni che portano gli italiani a consumare pasta alternative? Per una gran parte(49%) la motivazione è la curiosità,  ma per un’altra larga fetta di consumatori i motivi sono ben ponderati e frutto di scelte personali consapevoli. Infatti, i consumatori tricolore pensano che la pasta “alternativa” sia più sana di quella tradizionale (35%), più digeribile (31%) e che possa contribuire ad aumentare l’apporto di fibre (23%); inoltre, viene considerata un alimento “amico” della linea, scelto da oltre 1 consumatore su 10 (13%) che desidera perdere peso. 

Luce e gas: bollette più salate, ma con il mercato libero si risparmia

Le bollette di luce e gas sono tra le spese che più pesano sul budget delle famiglie italiane. Per mettersi al riparo dalle variazioni che scatteranno per chi si avvale delle tariffe del mercato tutelato conviene valutare il passaggio al mercato libero, approfittando delle offerte a prezzo fisso proposte dagli operatori. Di fatto, secondo il bilancio di Facile.it, nel 2020 la bolletta dell’energia elettrica ha raggiunto in media 505,40 euro, ovvero il 7,5% in più rispetto al 2019. È andata meglio sul fronte del gas, dove nonostante i lockdown i consumi sono rimasti stabili, e, gli italiani hanno potuto beneficiare del calo delle tariffe spendendo, in media, 734,30 euro. Per questo motivo, a parità di consumi, e guardando alla miglior tariffa del mercato libero, secondo le simulazioni di Facile.it una famiglia potrebbe risparmiare fino al 16% per la bolletta elettrica e fino al 13% per quella del gas.

Da ottobre tariffe aggiornate

Nel 2020 complessivamente tra luce e gas gli italiani hanno speso 1.239,71 euro a famiglia, sicuramente una cifra leggermente più bassa rispetto ai 1.378,38 euro del 2019, il timore però è che per il 2021 possa essere molto più salata. Le tariffe sono infatti aumentate nella prima parte dell’anno, così come i consumi, e i prezzi potrebbero lievitare ulteriormente nei prossimi mesi.
“Il primo ottobre le tariffe energetiche verranno aggiornate e il rischio di un maxi aumento è concreto, se si considera che ormai da mesi stiamo assistendo a una crescita importante del costo delle principali materie prime energetiche”, spiega Mario Rasimelli, managing director utilities di Facile.it.

In Sardegna si consuma più energia elettrica
La spesa per la luce non è però omogenea su tutto il territorio nazionale, e i dati su base regionale fanno emergere significative differenze. Considerando che il prezzo dell’energia sotto regime di tutela è uguale in tutte le aree del Paese, la differenza del peso della bolletta quindi è legata unicamente ai consumi. E al primo posto per consumi e spesa di energia elettrica si posiziona la Sardegna, dove nel 2020 il consumo medio a famiglia sotto regime di tutela corrispondeva a un costo totale di 584 euro (+15,6% rispetto alla media nazionale. Al secondo posto si posiziona invece il Veneto, con 542 euro.
Le regioni dove i consumi sono stati più contenuti, sono la Valle d’Aosta (399 euro), e la Liguria (430 euro).

In Trentino consumi e tariffe del gas più alti

Quanto al gas, sotto regime tutelato il prezzo varia a seconda delle aree del Paese. Il peso della bolletta, quindi, è frutto sia dei consumi sia delle tariffe previste dall’area di residenza. 
Dall’analisi dei contratti di Facile.it il Trentino-Alto Adige è la regione dove i cittadini hanno pagato il conto più alto nel 2020 (935 euro l’anno a famiglia), seguito da Emilia-Romagna e Piemonte (entrambe 931 euro). Al contrario, le regioni dove nel 2020 le famiglie hanno speso meno per il gas sono la Campania, con “solo” 631 euro, la Puglia, (641 euro), e il Lazio (678 euro).