Gli orari dei lavoratori italiani? Spesso “antisociali”

Rappresentano circa il 50% del totale degli occupati i lavoratori italiani che operano in orriranno antisociali. Con questa definizione si intendono orari ‘sfasati’ rispetto agli orari diffusi tra la maggioranza della popolazione. Nel dettaglio, il 18,6% dei dipendenti lavora sia di notte che nei festivi (circa 3,2 milioni di persone), il 9,1% anche il sabato e i festivi (ma non la notte), e il 19,3% anche la notte (ma non di sabato o festivi). Gli uomini lavorano sia di notte sia nel fine settimana e nei festivi, mentre le donne lavorano maggiormente il sabato o i festivi. E’ quanto emerge dall’indagine Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) ‘Plus’ (Participation, Labour, Unemployment Survey), che ha coinvolto 45mila persone dai 18 ai 74 anni.

Straordinari non retribuiti?

I dati singolari non sono finiti qui. La ricerca mette in luce che 1 dipendente su 6 (15,9%) svolge straordinari non retribuiti, un dato che assume proporzioni significative se pensiamo che gli straordinari interessano 6 occupati su 10 (60%), soprattutto uomini (64,7% contro il 54,1% delle donne). E se consideriamo che l’8,1% degli intervistati dichiara di non poter rifiutare di prestare l’extra-lavoro. Numeri che nell’insieme rivelano un più generale problema della regolazione dei tempi di vita e di lavoro, confermato anche dalla rigidità sottolineata dal Rapporto ‘Plus’ per quanto riguarda i permessi: il 21,3% degli occupati (circa 4,7 milioni) dichiara di non poter o non voler prendere permessi per motivi personali, il 54,8% può prenderli e il restante 23,9% può modulare l’impegno lavorativo.

Differenze fra uomini e donne

Gli uomini hanno una maggiore autonomia, mentre per le donne emerge la pressione di un contesto che disincentiva l’uso dei permessi. E sono soprattutto gli autonomi che svolgono la propria attività in condizione di para-subordinazione a dichiarare che nei propri contesti di lavoro o non sono previsti permessi o non è ben visto prenderli.
“Spesso la domanda di lavoro richiede disponibilità che confliggono con le esigenze di vita – dichiara il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp –. È vero che per alcuni settori economici, come il commercio o la sanità, e per alcune professioni, come quelle dei servizi, il lavoro notturno o nei festivi è connaturato alla natura della prestazione, ma è anche vero che questa modalità sembra diffondersi anche dove non è strettamente necessaria. È urgente avviare una seria riflessione sull’organizzazione e articolazione del tempo di lavoro, ma anche sulla sua quantità e distribuzione”.