Archivi categoria: lavoro

Le aziende italiane sono inclusive? Sì secondo i direttori HR

L’85% dei direttori del personale ritiene che la propria azienda promuova attivamente la diversità e l’inclusione. Lo afferma l’indagine condotta dall’Associazione Italiana per la Direzione del Personale (Aidp) sulla parità di genere in azienda. Il sondaggio, curato dal Centro Ricerche Aidp, ha coinvolto circa 700 direttori del personale, di cui oltre il 63% sono donne.

Donne in ruoli apicali

Più del 60% dei partecipanti afferma che nella propria azienda sono presenti donne con ruoli apicali e di responsabilità, mentre il 33% risponde positivamente, ma con la considerazione “non abbastanza”. Complessivamente, il 93% dei direttori del personale dà un’indicazione positiva sulla presenza femminile in posizioni di rilievo, seppur con alcune riserve. Solo il 7% afferma il contrario.

Parità di genere in oltre metà delle imprese

Sul fronte delle politiche aziendali per la parità di genere, oltre il 53% risponde positivamente, il 19% afferma di sì ma non abbastanza, e il 17% risponde negativamente. Per quanto riguarda la partecipazione a iniziative anti-discriminazione di genere, il 51% risponde positivamente, mentre il 49% risponde negativamente.

L’85% dei direttori del personale sostiene che la propria azienda favorisce un dialogo aperto sulla diversità e l’inclusione, mentre oltre il 92% afferma che sono garantite pari opportunità di formazione e sviluppo professionale per le donne. L’83% dichiara che esistono politiche di flessibilità con particolare attenzione al genere femminile.

Equità retributiva

Sulla questione dell’equità retributiva tra donne e uomini, il 50% esprime un parere positivo, il 25% risponde sì ma non abbastanza, mentre oltre il 17% risponde negativamente. L’83% dei direttori del personale è a conoscenza della certificazione della parità di genere, con il 38% che ha già attivato un audit con società di certificazione.

C’è ancora molto da fare per la parità

L’87% dei direttori del personale non è a conoscenza di episodi di bullismo o maschilismo nelle proprie aziende, mentre il 72% ritiene che chiunque possa agire liberamente per segnalare fenomeni di discriminazione di genere.

“I risultati dell’indagine Aidp sul tema della parità di genere evidenziano un doppio aspetto”, ha detto il presidente nazionale di Aidp Matilde Marandola. “Da un lato una percentuale elevata di responsabili delle risorse umane che descrive un contesto positivo, dall’altro la presenza di una percentuale non trascurabile di riscontri negativi, come ad esempio gli atti di discriminazione che richiedono un intervento nell’immediato così come altre aree di miglioramento da implementare. Sicuramente l’obiettivo è giungere a percentuali piene e assolute di parità. Molto è stato fatto anche dai direttori del personale e anche da altre persone che seguono il tema per questioni legate all’ambiente lavorativo, ma c’è ancora molto da fare”.

AI, Big Data, transizione ecologica: come cambierà il lavoro? 

C’è il pericolo che i posti di lavoro attuali siano soggetti ad obsolescenza nei prossimi tre anni? A questa domanda risponde il Cegos Observatory Barometer “Transformations, skills and learning”, fornendo una visione tutto sommata positiva. 2023.Solo il 14% dei ruoli presenta il rischio di veder invecchiare le re competenze nei prossimi tre anni, secondo i risultati del Cegos Observatory Barometer “Transformations, skills and learning” 2023. La survey annuale, condotta dal Gruppo Cegos su 5.048 dipendenti e 488 manager HR in nove Paesi, evidenzia l’impatto dell’intelligenza artificiale (AI) e dei nuovi modi di lavorare nelle aziende.

Il 48% dei responsabili HR individua nell’Intelligenza Artificiale e nei big data (40%) i principali fattori di impatto sull’organizzazione in termini di sviluppo delle competenze. A livello italiano, la transizione ecologica è indicata come secondo fattore più influente (45%), seguita dalla tecnologia (27%).

I dipendenti sanno che le trasformazioni in atto cambieranno il loro lavoro

Il 74% dei dipendenti ritiene che le attuali sfide della trasformazione cambieranno il contenuto del loro lavoro, e il 22% esprime preoccupazione sulla potenziale scomparsa del proprio impiego. Tuttavia, solo il 14% dei posti di lavoro è considerato a rischio di obsolescenza delle competenze nei prossimi tre anni, secondo gli HR director. Nonostante il 29% dei dipendenti europei dichiari di sentirsi sopraffatto dalla tecnologia (+8% rispetto al 2022), il 79% dei lavoratori italiani ha una percezione positiva.

Il 57% degli HR intende sostenere i dipendenti nell’aggiornamento delle competenze e nell’assunzione di nuovi profili, mentre in Italia il 55% si concentra sullo sviluppo di skill per la mobilità interna e il ricollocamento.

Competenze digitali in primo piano

Le competenze digitali sono prioritarie, con il 42% degli HR che punta al potenziamento delle digital skills. Le soft skills (38%), l’agilità e l’adattabilità (53%), le competenze manageriali (35%), e le competenze di business (29%) seguono nell’elenco delle priorità. La transizione ecologica è considerata una priorità minore. Il 63% degli HR manager è interessato all’uso dell’AI per personalizzare i percorsi formativi, ma solo il 10% l’ha già utilizzata a questo scopo.

Il 31% dei dipendenti afferma di utilizzare o aver utilizzato strumenti di AI generativa, come ChatGPT, per la formazione, mentre il 40% ha intenzione di farlo in futuro.

Formazione personalizzata 

Gli HR manager intendono offrire una formazione più personalizzata per rafforzare l’engagement dei lavoratori. Il 51% dei dipendenti si aspetta formazione on the job, interattiva e ludica, e il 41% degli HR incontra difficoltà nel conciliare l’offerta formativa con le esigenze organizzative.

L’85% dei dipendenti è aperto a una completa trasformazione di carriera per dare più senso alla propria vita professionale, e il 76% sarebbe disposto a partecipare a percorsi formativi al di fuori dell’orario di lavoro.

A gennaio 2024 previste 508mila assunzioni

A delineare lo scenario relativo alle offerte di lavoro per il mese di gennaio è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.
Nel primo mese del 2024 sono più di 508mila i lavoratori ricercati dalle imprese, circa 1,4 milioni per il primo trimestre dell’anno.
Si tratta di oltre 4mila assunzioni in più rispetto a gennaio 2023 (+0,9%) e +69mila (+5,3%) in riferimento all’intero trimestre.

A guidare la domanda sono i servizi alle persone, che programmano 70mila assunzioni (+10,0% vs gennaio 2023), seguiti dal commercio (68mila, +13,7%).
Negativa, invece, la tendenza prevista delle imprese del turismo e dell’industria manifatturiera (rispettivamente -12,1% e -2,3% vs gennaio 2023). E sale al 49,2% la difficoltà di reperimento (+3,7%).

Più dipendenti per le Pmi

Sempre a gennaio l’industria ha in programma complessivamente 172mila assunzioni (-1,1%), di cui 121mila nelle industrie manifatturiere e nelle public utility, e 51mila nelle costruzioni (+1,8%).
I servizi prevedono di assumere in totale 336mila lavoratori (+2,0%).

In generale sono le piccole (10-49 dipendenti) e le medie imprese (50-249 dipendenti) a prevedere andamenti di crescita delle assunzioni (rispettivamente +3.300 e +3.800), ma è positiva anche la previsione delle grandi imprese (oltre 250 dipendenti), con +1.900 assunzioni.
Al contrario, le micro imprese (1-9 dipendenti) prevedono una flessione pari a circa -4.500 assunzioni rispetto allo stesso periodo del 2023.

Mismatch tra domanda e offerta quasi al 50%   

Quanto al mismatch tra domanda e offerta interessa il 49,2% (250mila) delle assunzioni, soprattutto a causa della mancanza di candidati (31,1%), e della preparazione inadeguata (14,3%).

Dal Borsino delle professioni sono difficili da reperire il 91,4% di farmacisti, biologi e altri specializzati nelle scienze della vita, seguiti da operai addetti a macchinari dell’industria tessile e delle confezioni (72,8%), fonditori, saldatori, montatori di carpenteria metallica (72,6%), addetti alle rifiniture delle costruzioni (71,8%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (70,6%).

Cercasi oltre 91mila lavoratori immigrati

I contratti a tempo determinato si confermano la forma maggiormente proposta, con circa 206mila unità (40,5% del totale), sebbene in calo rispetto a un anno fa (41,3%). In crescita invece i contratti a tempo indeterminato, che passano dai 122mila di gennaio 2023 agli attuali 129mila (+7mila, +5,7%). 

Con riferimento ai livelli di istruzione, il 19% delle ricerche di personale è rivolto a laureati (97mila), il 30% a diplomati (155mila) e il 32% a chi è in possesso di una qualifica/diploma professionale (163mila).
Inoltre, per oltre 91mila assunzioni (18,1%) le imprese pensano di rivolgersi a lavoratori immigrati, soprattutto nei settori servizi operativi (30,8%), logistica (29,1%), servizi di alloggio, ristorazione, turismo (24,4%), costruzioni (21,0%) e industrie alimentari, bevande e tabacco (20,6%).

Viaggi: il regalo aziendale preferito per Natale

Qual è il regalo di Natale preferito dai dipendenti per Natale? Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Tantosvago, i lavoratori italiani sembrano prediligere i viaggi come dono natalizio.
Questa tendenza è particolarmente evidente tra coloro che lavorano per aziende con un sistema di welfare che consente loro di utilizzare i benefici per acquistare cadeau per sé e per i propri familiari.

Nel 2023 focus sul welfare aziendale

Il 2023 è stato un anno che ha visto una crescente attenzione nei confronti del welfare aziendale. Un sondaggio condotto da Forbes advisor ha rivelato che il 40% dei datori di lavoro ritiene che i propri dipendenti sarebbero disposti a cambiare lavoro per ottenere maggiori vantaggi legati al welfare.
Questa crescente consapevolezza ha impatto anche sulle scelte relative ai regali di  Natale.

Regali sostenibili e consapevoli

Negli ultimi anni, le aziende si stanno orientando verso regali sostenibili e socialmente consapevoli. Un esempio è la pratica di piantare alberi per compensare le emissioni di carbonio.
I dipendenti, d’altra parte, privilegiano doni che aiutano a contrastare il costo della vita e che sono spesso legati al loro tempo libero.

Le preferenze dei dipendenti: viaggi, benessere e tempo libero

Tra i regali più graditi dai dipendenti, spiccano viaggi, biglietti, benessere, corsi di cucina e giorni di vacanza pagati dall’azienda.
Questi doni non solo rappresentano opportunità per il relax, ma diventano anche simboli tangibili del riconoscimento dell’azienda nei confronti dei propri collaboratori.

Il ruolo chiave del welfare aziendale

L’osservatorio Tantosvago ha raccolto dati significativi sulle preferenze dei dipendenti nell’ambito leisure, dimostrando che il welfare aziendale ha un impatto positivo sul modo in cui i lavoratori scelgono di utilizzare i crediti per il tempo libero.
In Italia, questa forma di benefit ha faticato ad affermarsi, ma recentemente ha registrato un deciso aumento.

La top 5 dei regali 

Secondo l’osservatorio, la top 5 dei regali preferiti per il tempo libero in vista del Natale comprende: viaggi (60%), gift card e buoni (18,5%), Gowelfare con i negozi di prossimità (3,65%), parchi (2,95%), e agenzie viaggio (1,41%).
In conclusione, il Natale 2023 si prospetta come un’occasione in cui i dipendenti italiani apprezzano particolarmente i regali legati al tempo libero. Un fenomeno che evidenzia l’importanza crescente del welfare aziendale nella soddisfazione dei lavoratori.

Tecnologie quantistiche: l’Italia muove i primi passi grazie al PNRR

Nel 2023 l’investimento privato nel Quantum Computing in Italia è inferiore a 6 milioni di euro, stanziati su risorse interne all’azienda, come personale dedicato, e all’esterno, in consulenza, tempo macchina e formazione. E al netto di alcuni casi, la maggior parte delle aziende stanzia budget residuali, tra 50.000 e 150.000 euro, senza una strategia di medio-lungo termine.

Grazie all’iniezione di fondi in ricerca e sviluppo derivanti dal PNRR, con oltre 140 milioni di euro stanziati su un orizzonte di 3 anni, e al crescente interesse da parte di alcune grandi aziende, l’Italia muove i primi passi verso la creazione di un ecosistema nazionale sul Quantum Computing.
Emerge dall’Osservatorio Quantum Computing & Communication del Politecnico di Milano.

I fondi governativi trainano lo sviluppo

La tecnologia è in una fase prototipale in cui sono i fondi governativi a trainare lo sviluppo di ecosistemi competitivi. Tra gli investimenti pubblici italiani spiccano due iniziative, quella del Centro Nazionale HPC, Big Data e Quantum Computing (budget totale 320 milioni di euro) e il partenariato esteso NQSTI, National Quantum Science and Technology Institute (116 milioni di euro).

Nonostante si tratti di un importante punto di partenza, i fondi governativi sono ancora insufficienti. Il ritardo accumulato porta il Paese a detenere una filiera dell’offerta nazionale embrionale, con poche startup nazionali in uno scenario attualmente dominato da aziende internazionali e grandi società di consulenza.

Il percorso aziendale di Quantum Readiness

Nel 2023 il 24% delle grandi aziende italiane ha avviato i primi passi nel percorso di Quantum Readiness. L’11% solo a scopo informativo, attraverso iniziative di disseminazione e qualche relazione di ecosistema, un ulteriore 12% in modo più concreto, avviando anche una sperimentazione, e solo l’1% è definibile Quantum Pioneer, ovvero sta lavorando in modo organico con un commitment aziendale di lungo termine.

All’interno del 76% di aziende che non hanno ancora avviato un percorso di Quantum Readiness, un 7% di imprese detiene tutte le caratteristiche abilitanti per l’innovazione tecnologica, ma decide di avere un approccio attendista.
La restante parte è invece ancora in una fase di trasformazione organizzativa, che rende il Quantum Computing difficile da inserire tra le priorità di lavoro.

“Un ambito fondamentale da presidiare a livello sistemico”

“Grazie al PNRR, l’Italia ha mostrato segnali incoraggianti di attenzione verso la rivoluzione quantistica – afferma Paolo Cremonesi, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio -. Nonostante si sia partiti in ritardo rispetto ad altri Paesi europei e oltreoceano, questi investimenti ci permetteranno di fare passi da gigante nel tentativo di colmare il gap tecnologico.  Oggi quindi è più che mai importante garantire continuità a quanto avviato, strutturando una visione coordinata e strategica per il futuro del Paese in questo comparto: si tratta di un ambito fondamentale da presidiare a livello sistemico per non dipendere da altre nazioni con accesso diretto a queste tecnologie”.

Lavoro: gli studenti lo preferiscono manuale, le famiglie hanno piani diversi

Immaginando il proprio futuro dopo gli studi, a più di uno studente su tre (39%) non dispiacerebbe fare l’autoriparatore, l’elettricista, il tecnico manutentore o programmatore o l’addetto all’assemblaggio e alle macchine industriali. 
Chi ha detto, quindi, che i giovani non vogliono più fare lavori tecnici?
Il dato è ancora più significativo considerando che tali profili professionali sono proprio tra i più carenti e più richiesti dal mercato del lavoro.

Il problema è che spesso il desiderio dei ragazzi e delle ragazze non riceve adeguato supporto, e di fronte alle aspettative delle famiglie e alla direzione tracciata dalle attività di orientamento a scuola finisce ‘nel cassetto’.
È quanto emerge dalla ricerca di Gi Group Holding e Fondazione Gi Group, svolta in collaborazione con Skuola.net e La Fabbrica. 

I genitori puntano sull’università

Le facoltà universitarie sono di gran lunga la prima opzione per i genitori con figli che studiano al liceo e agli istituti tecnici, e la seconda per chi ha figli agli istituti professionali, subito dopo l’ingresso nel mercato del lavoro.

Oltre 7 genitori su 10 (72%) vorrebbero vedere il proprio figlio o figlia all’università.
A questa prima forma di pressione sociale si aggiungono le attività di orientamento a scuola: per 8 studenti su 10 (76%) sono anch’esse sbilanciate verso l’università, traducendosi in presentazioni di facoltà e corsi di laurea.
L’orientamento, poi, inizia troppo tardi. Solo uno studente su dieci (11%) lo comincia entro la terza superiore, il 33% non prima della quinta, e uno su quattro addirittura non lo fa (26%).

Its e Ifts questi sconosciuti

Non è un caso, allora, che solo uno studente su cinque (21%) conosca bene i percorsi Its e Ifts, in misura maggiore ragazzi (31% vs 17% ragazze). E se il 29% di studenti ne ha sentito solo parlare, per il restante 50% è buio totale.
Non va meglio con i docenti: negli istituti tecnici il 25% non conosce questi percorsi, percentuale che sale al 46% nei licei.

La situazione ancora peggiore per gli Ifts, pressoché sconosciuti al 57% dei docenti degli istituti tecnici e al 70% di quelli liceali.
Più in generale, è l’apprendistato di I livello a non aver fatto breccia. Il 58% dei docenti non ha informazioni su queste opportunità di inserimento lavorativo, dato che sale al 77% tra i genitori.

Le lacune dei programmi di orientamento

I programmi di orientamento sono in larga misura poco adeguati ad accompagnare gli studenti verso un percorso post-diploma, e poco attenti a supportarli nella costruzione consapevole di un percorso di vita.
Tra le lacune da migliorare, gli studenti vorrebbero più esperienze pratiche in grado di avvicinarli per davvero al mondo del lavoro, come stage e tirocini (31%), visite o incontri in realtà lavorative (23%).

Dai docenti e dai genitori arriva invece l’auspicio di ricevere maggiore formazione per affiancare i ragazzi. Un’esigenza particolarmente sentita dai docenti più giovani, della Generazione Z e Y, dove a desiderarla è addirittura il 61% dei professori.

Come riconoscere un ambiente di lavoro tossico?

Un ambiente di lavoro è sano quando, libero dal pregiudizio, dai giudizi e aperto alla crescita personale e professionale, favorisce produttività, serenità e maggiore creatività dei dipendenti.

In pratica, lavorare in un ambiente sano soddisfa il concetto di sicurezza psicologica che tutti vogliamo appagare.
Al contrario, quando viene a mancare una sicurezza del genere, si parla di ambiente di lavoro tossico.
Come riconoscere un ambiente di lavoro tossico? Gli esperti di Jobiri hanno individuato 10 segnali che permettono di identificare un ambiente lavorativo malsano e dannoso per la salute fisica, e soprattutto mentale, dei dipendenti.

Dalla mancanza di supporto alla mancanza di fiducia

I 10 segnali a cui fare attenzione riguardano mancanza di supporto, eccessivo carico di lavoro, elevato turnover del personale, leadership inadeguata e inefficiente, mancanza di equità, mobbing e atteggiamenti negativi, scarse opportunità di crescita, mancanza di comunicazione, disturbi di insonnia e stress eccessivo, conflitto con l’etica e i valori personali, e mancanza di fiducia tra e verso i dipendenti.
La mancanza di fiducia tra e verso i dipendenti è un segnale evidente della presenza di un ambiente di lavoro tossico. Se c’è competizione, invidia, e in generale stati d’animo negativi, non ci potrà mai essere collaborazione, e quindi fiducia, nei confronti delle capacità e della professionalità degli altri.
Stesso discorso vale se anche il datore di lavoro non si fida dei suoi collaboratori.

Come affrontare un ambiente di lavoro negativo?

Per affrontare un ambiente di lavoro negativo è anzitutto necessario parlare con i colleghi e il datore di lavoro in modo aperto e rispettoso.
Comunicare, secondo Jobiri, significa essenzialmente tentare di correggere i comportamenti negativi che stanno generando questa situazione.
Provare a restare in un ambiente lavorativo tossico non significa, infatti, accettare passivamente atteggiamenti deleteri, ma tentare piuttosto, nel proprio piccolo, di mettere in atto una serie di azioni positive.

Ad esempio, disinnescare i pettegolezzi, comunicare sempre con i colleghi e far notare loro quando pronunciano parole offensive o poco corrette, ascoltare e dare loro conforto, discutere con il capo riguardo esigenze e obiettivi senza timore.
Se necessario, far presente alle risorse umane la mancanza di politiche inclusive all’interno dell’organizzazione.

Esplorare nuove opportunità

Se anche dopo aver messo in pratica gran parte delle azioni consigliate la situazione non cambia né migliora, l’unica opzione da prendere in considerazione è quella di esplorare nuove opportunità di lavoro.
Ma, attenzione: trovare il lavoro perfetto non è sempre facile, e porta sempre con sé la paura della novità e del cambiamento.

Essere disposti a valutare compromessi, mettendo sul piatto della bilancia i pro e i contro è sicuramente il primo passo per prendere una decisione consapevole e serena.

Pet Vibes, Better Office: un cane in ufficio migliora umore ed employer branding

Lo conferma un’indagine commissionata dal Gruppo Mars a Swg dal titolo ‘Gli uffici pet-friendly nell’era odierna post pandemia’: quasi la metà dei lavoratori italiani, che si tratti di pet parents o meno, è convinta che la presenza di cani migliori l’umore complessivo dell’ufficio (47%).
Percentuali leggermente inferiori ritengono inoltre che il pet al lavoro diminuisca lo stress (42%) e favorisca le occasioni di connessione con i colleghi (40%). Tra gli altri vantaggi, le riposte evidenziano una maggiore creatività (31%) e una maggior produttività (27%), ma soprattutto, un’azienda più attrattiva in un’ottica di employer branding (30%). Insomma, aprire gli uffici ai cani avrebbe ricadute positive sull’umore delle persone che vi lavorano e sulle aziende.

Tanti vantaggi, eppure solo un’azienda su dieci ne consente l’accesso 

Due proprietari di cani su 3 vorrebbero poi poter godere della compagnia del proprio amico a quattro zampe anche in ufficio (64%). E quasi la metà ritiene che le aziende dovrebbero organizzarsi a tale scopo (48%). Eppure, la possibilità di far accedere su base regolare il proprio pet negli uffici è una realtà solo in 1 caso su 10, mentre nella maggioranza dei casi non è mai permesso (55%) o non sono state stabilite regole a riguardo (27%).

Gli amici a quattro zampe sarebbero graditi al lavoro anche da chi non ne ha

Tutto questo, nonostante tra chi non possiede un cane, una persona su 3 (il 33%) avrebbe piacere a godere della presenza di pet sul luogo di lavoro. E anche chi inizialmente si è dichiarato contrario (34%) sarebbe disposto a cambiare idea qualora i cani avessero chiari spazi a cui accedere (32%), fossero vaccinati (14%), o l’azienda prevedesse policy di regolamentazione (12%).

Creare città più a misura di animali

I dati dall’indagine sono stati presentati nell’ambito del workshop Pet Vibes, Better Office. L’obiettivo, riferisce Adnkronos, è portare avanti il percorso di incoraggiamento dell’adozione di politiche pet-friendly su larga scala nel mondo del lavoro, condividendo consigli e linee guida su come implementare queste pratiche. Un appuntamento pensato in vista della Giornata mondiale degli animali, prevista il 4 ottobre, coincidente con la festa del patrono S. Francesco d’Assisi, protettore degli animali. Il Gruppo Mars in Italia è rappresentato dalle aziende Mars, Royal Canin e AniCura, ed è pioniere nelle politiche pet-friendly. Tutti i suoi uffici possono infatti accogliere gli amici a quattro zampe, coerentemente con il più ampio impegno di creare città più a misura di animali.

Manca il 48% di manodopera: in 1 anno lavoratori introvabili +7,6%

Lo rileva un rapporto di Confartigianato sulla carenza di personale: nell’ultimo anno la quota di lavoratori introvabili sul totale delle assunzioni previste è passata dal 40,3% di luglio 2022 al 47,9% di luglio 2023.
In particolare, le maggiori difficoltà di reperimento si riscontrano per i tecnici specializzati nella carpenteria metallica (70,5% di personale difficile da trovare), nelle costruzioni (69,9%), e nella conduzione di impianti e macchinari (56,6%).Insomma, per le imprese italiane è sempre più difficile trovare manodopera. E si tratta di un fenomeno diffuso in tutta Italia e in tutti i settori, da quelli tradizionali fino alle attività digitali e hi-tech.

Un’emergenza in crescita dal Nord al Sud

A livello regionale, le imprese che faticano di più a trovare dipendenti operano in Trentino-Alto Adige, con il 61,6% del personale di difficile reperimento. Seguono quelle della Valle d’Aosta (57,1%), Umbria (54,6%), Friuli-Venezia Giulia (53,3%), Emilia-Romagna (52,7%), Piemonte (52%) e Veneto (51,4%). Ma, secondo Confartigianato, la scarsità di manodopera è un’emergenza in crescita ovunque: nell’ultimo anno, infatti, la quota di lavoratori difficili da trovare è salita del 9,1% nel Mezzogiorno, del 6,9% nel Centro, del 7,4% nel Nord Ovest e del 6,5% nel Nord Est. I maggiori aumenti si registrano in Abruzzo (+11,5%), Calabria (+10,9%), Liguria (+10,8%), Puglia (+10,5%) e Trentino-Alto Adige (+10,3%).

Come reagiscono le piccole imprese?

Dal rapporto di Confartigianato emerge poi che tra le cause di difficile reperimento rientra la mancanza di candidati (32,4% dei lavoratori) e l’inadeguata preparazione degli stessi (10,8%). Per questo, le piccole imprese reagiscono intensificando le collaborazioni con gli istituti tecnici e professionali, l’utilizzo di stage, tirocini, percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. Inoltre, all’aumento delle retribuzioni viene affiancata l’offerta di pacchetti di welfare aziendale, la flessibilità dell’orario di lavoro, l’utilizzo dello smart working, interventi per migliorare il clima aziendale e comfort dei luoghi di lavoro.

“Il lavoro c’è, mancano i lavoratori”

“La carenza di manodopera è diventato uno dei maggiori problemi per le nostre imprese. Siamo al paradosso: il lavoro c’è, mancano i lavoratori. E, nel frattempo, 1,7 milioni di giovani tra 15 e 29 anni non studia, non si forma, non cerca occupazione. Di questo passo, ci giochiamo il futuro del Made in Italy – sottolinea Marco Granelli, presidente di Confartigianato -. Bisogna insegnare ai giovani che nell’impresa ci sono opportunità, adeguatamente retribuite, per realizzare il proprio talento, le proprie ambizioni, per costruirsi il futuro”.

OpenAI, arriva la versione aziendale di ChatGPT

OpenAI ha introdotto una versione di ChatGPT progettata per rispondere alle crescenti preoccupazioni delle aziende riguardo alla privacy e alla sicurezza nell’uso di intelligenza artificiale generativa. Questa soluzione, denominata ChatGPT Enterprise, è stata annunciata attraverso un articolo sul blog di OpenAI. Essa promette una maggiore sicurezza, privacy e accesso illimitato ad alta velocità a GPT-4. Inoltre, offre analisi dati avanzate per un’efficace estrazione di informazioni e la possibilità di formulare domande complesse a ChatGPT.

La questione della privacy e della sicurezza

La questione della privacy e della sicurezza è stata da sempre una preoccupazione per le aziende, che temevano che i loro dati potessero essere utilizzati per addestrare modelli di ChatGPT, mettendo a rischio informazioni sensibili dei clienti. OpenAI ha affrontato queste preoccupazioni garantendo agli utenti di ChatGPT Enterprise il pieno controllo e la proprietà dei propri dati, che non verranno utilizzati per l’addestramento di GPT. Oltre alla privacy, ChatGPT Enterprise consente la personalizzazione della conoscenza del modello riguardo ai dati aziendali e fornirà strumenti analitici avanzati, attualmente in fase di sviluppo. Opzioni di prezzo specifiche per piccole squadre saranno introdotte per rendere l’accesso più flessibile. L’obiettivo di OpenAI è coinvolgere il maggior numero di aziende possibile attraverso un processo di integrazione.

Il primo prodotto focalizzato sul settore aziendale

ChatGPT Enterprise, riferisce Adnkronos,  rappresenta il primo prodotto focalizzato sul settore aziendale, differenziandosi dai piani di abbonamento ChatGPT e ChatGPT Plus, che offrono un accesso più generale alla piattaforma. Le aziende che utilizzano già ChatGPT possono scegliere se rimanere fedeli alle opzioni attuali o passare a ChatGPT Enterprise per sfruttare le nuove funzionalità. Mentre alcune aziende hanno preferito connettersi a GPT-4 tramite API o servizi cloud per proteggere i propri dati, molte realtà più piccole hanno trovato difficile creare modelli di linguaggio su larga scala. In risposta a questa esigenza, sono emersi vari fornitori che offrono soluzioni sicure per l’accesso a modelli di linguaggio su larga scala come GPT-4.

Crescerà la concorrenza nel settore?

Con il lancio di ChatGPT Enterprise, ci si aspetta un aumento della concorrenza in questo settore. OpenAI ha anche annunciato l’apertura di GPT-3.5 all’addestramento personalizzato, consentendo agli utenti di adattare il modello alle proprie esigenze specifiche. Queste evoluzioni segnalano una crescente attenzione al bilanciamento tra l’innovazione nell’IA e la protezione dei dati aziendali e della privacy dei clienti.