Nel 2021 il mercato cybersecurity in Italia raggiunge 1,55 miliardi

È un vero e proprio boom per il mercato della cybersecurity, che in Italia nel 2021 raggiunge un valore di 1,55 miliardi di euro, il 13% in più rispetto al 2020.
Un ritmo di crescita mai così elevato, con il 60% delle grandi organizzazioni che prevede un aumento del budget destinato alle attività di sicurezza informatica. 
Secondo i risultati della ricerca dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection della School of Management del Politecnico di Milano, il rapporto tra spesa in cybersecurity e Pil resta però limitato (0,08%), e all’ultimo posto tra i Paesi del G7, ma l’Italia insieme al Giappone è l’unica nazione a non aver registrato una diminuzione nel corso dell’ultimo anno. In ogni caso, il mercato italiano di cybersecurity è composto per il 52% da soluzioni come Vulnerability Management e Penetration Testing, SIEM, Identity and Access Management, Intrusion Detection, Data Loss Prevention, Risk and Compliance Management e Threat Intelligence, e per il 48% da servizi professionali e servizi gestiti.

Il 31% della spesa è dedicata a Network & Wireless Security 

Gli aspetti di security più tradizionali continuano a coprire le quote maggiori del mercato, con il 31% della spesa dedicata a Network & Wireless Security, ma gli aumenti più significativi riguardano Endpoint Security e Cloud Security. Con le nuove modalità di lavoro, la protezione dei dispositivi continua a essere un elemento cruciale e l’adozione di applicazioni e piattaforme Cloud rende necessaria una specifica attenzione a questo ambito. La dinamicità del mercato viene poi confermata sul lato offerta dalle 13 operazioni straordinarie di acquisizione, aggregazione e quotazione che hanno riguardato 24 realtà italiane di servizi e soluzioni in ambito security, per un giro d’affari pari a diverse centinaia di milioni di euro.

L’organizzazione della sicurezza informatica in azienda

Dopo anni in cui l’organizzazione della cybersecurity è stata pressoché cristallizzata, nel 2021 cresce di 5 punti la presenza formale del responsabile della sicurezza informatica. Il presidio è oggi affidato nel 46% delle imprese italiane al ChiefInformation Security Officer, che nella maggioranza dei casi riporta alla Direzione IT (34%) e ha un team dedicato a supporto nel 78% dei casi. Il 58% delle imprese poi ha definito un piano di formazione strutturato sulle tematiche di cybersecurity e data protection rivolto a tutti i dipendenti, mentre l’11% si è focalizzato sulla formazione di specifiche funzioni più a rischio. 

La gestione del rischio

Nel 30% dei casi sono state realizzate azioni di sensibilizzazione meno strutturate e sporadiche, mentre solo nell’1% non sono del tutto previste attività di formazione.
Il Covid-19 ha comunque lasciato uno strascico negativo nell’approccio al rischio cyber, aumentando la difficoltà nell’adottare una visione olistica e strategica.
Se il numero complessivo di aziende che lo affrontano rimane invariato (38%), diminuiscono dell’11% quelle che lo gestiscono in un processo integrato di risk management. Aumentano invece le organizzazioni che lo trattano come un rischio a sé stante all’interno di una singola funzione (49%).

L’ascesa degli OTT non rallenta nonostante si torna a vivere fuori casa 

Con l’aumento del tempo a disposizione e la vita prevalentemente confinata alle mura domestiche durante i periodi di lockdown negli ultimi due anni la dieta mediale degli italiani è variata sensibilmente.

In merito alla penetrazione e al tempo speso nella fruizione di diversi mezzi, nuovi e tradizionali, alcuni fenomeni si sono stabilizzati mente altri sono rientrati ai livelli pre-pandemia. E se l’esplosione della fruizione delle piattaforme Over The Top ha attirato l’attenzione di numerosi player, non sembra arrestarsi. Oggi gli OTT sono molto presenti tra il pubblico più giovane, ma stanno guadagnando terreno anche tra i segmenti più maturi. La piattaforma di GfK Sinottica è un osservatorio privilegiato sulla comprensione di questo fenomeno, rilevando in single source e in maniera continuativa i diversi comportamenti mediali dei target.

Ad aprile 2020 raggiunta una platea mensile simile a quella dei mezzi tradizionali

La fruizione di contenuti video rimane comunque fortemente ancorata alla TV lineare, anche se le curve di ascolto si stanno avvicinando velocemente, soprattutto nella GenZ.  Durante il primo lockdown, le piattaforme OTT avevano raggiunto una platea mensile (57% nel mese di aprile 2020) paragonabile a quella dei mezzi tradizionali, pari a oltre la metà della popolazione dai 14 anni in su.

Nel corso del 2020 e del 2021 tali valori si sono confermati, e sono anche cresciuti ulteriormente, raggiungendo il 60% a settembre 2021.
Il riappropriarsi di una vita ‘outdoor’ non ha dunque arrestato né ridimensionato il fenomeno, che oggi è parte integrante della ‘nuova normalità’.

I valori di penetrazione salgono maggiormente tra i più giovani 

I valori di penetrazione, già alti a totale popolazione, salgono maggiormente tra il pubblico giovane. La fruizione mensile dei contenuti VOD tra la Generazione Z e i Millennials sfiora l’80% (78% a settembre 2021). Rimane sopra la media anche tra la Generazione X, raggiunta per oltre 2/3, mentre perde terreno solo tra le fasce più anziane, dove però il fenomeno sta crescendo in maniera considerevole (+68%).

I dati offrono quindi un’istantanea di tendenza alla normalizzazione. Si tratta di un fenomeno presente nella vita di tutti gli italiani, non più circoscritto ai soli segmenti più attivi e aperti alle novità.

La TV continua a mantenere audience giornaliere più che doppie

Per quanto cresciuta in maniera importante in tutti i target, la fruizione di contenuti sulle piattaforme OTT è ancora lontana da quella della TV lineare, soprattutto quando si sposta il punto di osservazione sull’esposizione più frequente. 
Giornalmente, circa un quarto della popolazione si espone a contenuti on demand (22% a settembre), mentre gli esposti ai contenuti della TV lineare sono quasi quattro volte tanto (81%). La relazione tra i due mezzi rimane quindi un processo da monitorare. Tra la GenZ, ad esempio, le curve di fruizione si stanno avvicinando più velocemente, anche se la TV mantiene per il momento audience giornaliere più che doppie (72% vs. 31%).

Comparto edilizia in Lombardia, numeri in crescita e spinta sulla sostenibilità

Il terzo trimestre 2021 si chiude in positivo per il comparto dell’edilizia in Lombardia. Il momento per il settore è decisamente positivo: la crescita del volume d’affari per le imprese lombarde di edilizia e costruzioni è si avvicina al 4% trimestrale, con una variazione su base annua del 16,9%. Questa trend di crescita si allinea a quello dei due  scorsi trimestri (che avevano sfiorato il +5%) e ha pochi precedenti nella serie storica. L’andamento del comparto è contenuto nell’ultimo rapporto presentato da Unionecamerelombardia e Ance Lombardia.

Un valore che non si vedeva da 12 anni

Con questo ulteriore aumento l’indice del volume d’affari di Unioncamere Lombardia supera quindi quota 105, un livello che non si vedeva da 12 anni a questa parte. Il trend crescente del volume d’affari è spinto anche dall’accelerazione dei prezzi, che mettono a segno un incremento congiunturale del +5,7%. Il surriscaldamento dei listini è indice della necessità delle imprese di compensare i rincari registrati dagli input produttivi, ormai su livelli record e ben al di sopra della possibilità delle imprese di “trasferirli” a valle. Segnali incoraggianti giungono anche dal fronte occupazionale, dove si registra il terzo incremento congiunturale consecutivo del numero di addetti (+0,6%). Anche l’accelerazione dei prezzi ha contribuito a questo fenomeno: l’ incremento congiunturale è del +5,7%. Il surriscaldamento dei listini è indice della necessità delle imprese di compensare i rincari registrati dagli input produttivi, ormai su livelli record e ben al di sopra della possibilità delle imprese di “trasferirli” a valle. Segnali incoraggianti giungono anche dal fronte occupazionale, dove si registra il terzo incremento congiunturale consecutivo del numero di addetti (+0,6%).

Gli imprenditori del settore sono ottimisti

Le aspettative degli imprenditori per il prossimo trimestre rimangono orientate in senso ampiamente positivo: per volume d’affari e occupazione i saldi tra previsioni di crescita e diminuzione si confermano su valori storicamente molto elevati, anche se in fase di stabilizzazione dopo la forte crescita dei trimestri passati.
“Si conferma una fase positiva ed espansiva per l’intero settore, legata a fattori di sostegno non contingenti che dovrebbero proseguire anche nei prossimi mesi – ha dichiarato il Presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio – È necessario sfruttare questa congiuntura per affrontare i problemi che si profilano già all’orizzonte, sia per i rincari e la stessa disponibilità di materie prime e materiali che per formare e preparare adeguatamente le nuove leve di manodopera”.

La transazione ecologica

Un altro aspetto considerato dall’indagine è quello della della transizione ecologica. Oggi  un quarto delle imprese edili del campione (26%) ha già realizzato interventi green. La dimensione si conferma una variabile fondamentale: sopra i 50 addetti le imprese impegnate in interventi di sostenibilità ambientale sono più della metà. Le azioni principali in quest’ambito hanno riguardato l’acquisto di mezzi elettrici o ibridi (39%) e di macchinari più efficienti dal punto di vista energetico (35%), oltre all’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile (31%) e all’isolamento termico degli edifici (24%). 

Con il digitale le aziende possono ridurre le emissioni

Gli impegni presi durante la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico COP26 modificheranno le priorità delle aziende di tutto il mondo. Ci si aspetta un’accelerazione nell’adozione di modelli a zero emissioni come principio organizzativo dell’attività di business. L’enormità dell’emergenza climatica richiede subito la mobilitazione da parte delle realtà di ogni settore industriale ed economico. E la tecnologia digitale offre il percorso più diretto per ottenere gli obiettivi stabiliti negli accordi presi alla COP 26. Unlocking a sustainable future: Why digital solutions are the key to sustainable business transformation è il report condotto da Schneider Electric sul ruolo della digitalizzazione nell’arena della sostenibilità e dell’efficienza energetica.

AI e machine learning moltiplicano le opzioni per la sostenibilità

Creato insieme a CNBC Catalyst, il report descrive come aziende e istituzioni stanno sfruttando le tecnologie digitali per ridurre le emissioni di gas serra, realizzare la transizione all’energia rinnovabile, e rendere più trasparente la loro supply chain. Integrando l’intelligenza umana e quella delle macchine, le aziende incluse nel report hanno sfruttato la capacità degli algoritmi e del calcolo a elevate performance per creare cambiamenti in ambiti essenziali come l’uso dell’energia, la progettazione urbana, il consumo di risorse, l’efficienza della supply chain, e la generazione di energia elettrica

L’equilibrio tra responsabilità ambientale e sociale

L’aumento delle aspettative rispetto al raggiungimento dei risultati di sostenibilità ha alzato il livello della sfida per le aziende. I messaggi lanciati durante la COP26 hanno enfatizzato la necessità da parte di governi e aziende di dare conto del proprio impegno. Le aziende più progressiste hanno capito che un futuro più sostenibile è cruciale per assicurare la fattibilità del loro business a lungo termine. Swire Properties, ad esempio, ha avviato un percorso di decarbonizzazione focalizzato sulla riduzione dell’intensità di emissioni di gas serra nel suo portfolio immobiliare. Per farlo ha investito in strumenti di misurazione digitale efficienti, e ha stretto una partnership con Schneider Electric per creare un modello dell’efficienza energetica nei suoi edifici. Questo ha portato a una riduzione del 19% nelle emissioni di gas serra complessive generate dalle proprietà.

Il vantaggio di connettere trasformazione sostenibile e digitalizzazione

Gli investimenti in tecnologie digitali possono produrre valore rilevante se realizzati con un partner in grado di moltiplicarne gli effetti. In uno scenario in cui la digitalizzazione è cruciale per la continuità del business, risulta evidente la necessità di agire per un futuro più resiliente, anche grazie all’efficienza energetica. In questo senso, IHG Hotels & Resorts aiuta i suoi partner in franchising di tutto il mondo a misurare e gestire l’impatto ambientale usando una piattaforma online innovativa. E due hotel della catena stanno portando avanti un progetto di decarbonizzazione all’interno di un percorso verso le emissioni zero, attuato sulla base di modelli e valutazioni dell’impatto in termini di emissioni di Co2.

Natale e Capodanno 2022: record per l’export agroalimentare Made in Italy

Un record storico: la proiezione della Coldiretti su dati Istat del commercio estero relativa al mese di dicembre 2021 registra un aumento a doppia cifra per il valore delle esportazioni dei prodotti tipici del Natale. Dallo spumante (+29%) ai panettoni (+25%), fino al caviale Made in Italy, che con un +146% segna un boom sui mercati internazionali, nel periodo delle festività di Natale e Capodanno l’export alimentare Made in Italy ha raggiunto 4,4 miliardi di euro, l’11% in più rispetto allo scorso anno.

Sulle tavole di tutto il mondo si festeggia con lo spumante italiano

Sempre più gettonate sono anche le paste farcite tradizionali, come i tortellini (+4%), o i formaggi italiani, che registrano un aumento in valore delle esportazioni del 12%, o ancora prosciutti, cotechini e salumi (+12%). Ma a guidare la classifica di questo Natale all’estero è lo spumante italiano, che traina l’intero settore dei vini, per i quali si segnala complessivamente un aumento del 15%.
Del resto, le vittorie ‘in trasferta’ dell’agroalimentare tricolore non si contano più, dalla crescita della birra italiana (+10%) nella Germania dell’Oktoberfest a quella del caviale (+150%) nella Russia del beluga.

Un successo che spinge il valore dell’intera filiera

Un trend che dimostra come il settore agroalimentare sia uscito dalla crisi generata dalla pandemia più forte di prima, tanto da raggiungere a fine anno il record storico nelle esportazioni con una quota di 52 miliardi, il massimo di sempre. Il successo dell’export spinge anche il valore complessivo della filiera agroalimentare, che nel 2021, nonostante le difficoltà legate alla pandemia, è diventata la prima ricchezza dell’Italia, per un valore di 575 miliardi di euro e un aumento del 7% rispetto all’anno precedente.

I prodotti alimentari italiani valgono quasi un quarto del Pil nazionale 

Il risultato è che il Made in Italy a tavola oggi vale quasi un quarto del Pil nazionale, riporta Adnkronos, e dal campo alla tavola vede impegnati 4 milioni di lavoratori in 740 mila aziende agricole, 70 mila industrie alimentari, oltre 330 mila realtà della ristorazione e 230 mila punti vendita al dettaglio. Una rete diffusa lungo tutto il territorio che viene quotidianamente rifornita dalle campagne italiane, dove stalle, serre e aziende hanno continuato a produrre nonostante le difficoltà legate al Covid, garantendo le forniture di prodotti alimentari non solo sulle tavole degli italiani, ma in tutto il mondo.

Ristorazione e digitalizzazione: a che punto siamo?

Uno dei settori di punta dell’economia italiana, la ristorazione, in che rapporti è con la digitalizzazione? A questa domanda ha risposto un’indagine di Qonto, soluzione di gestione finanziaria per PMI e professionisti, che ha recentemente condotto un’indagine su un campione di aziende italiane che operano nel mondo food per esaminare lo stato dell’arte e gli sviluppi in materia di digitalizzazione del comparto.

La “spinta” data dal Covid
E’ innegabile che anche in questo settore, come nella maggior parte dei comparti economici, la pandemia abbia inevitabilmente dato una spinta verso la digitalizzazione. L’emergenza sanitaria, infatti, ha segnato un’accelerazione nel processo di digitalizzazione tanto tra i consumatori, con la nascita di nuove abitudini digitali per lavorare, studiare e rimanere in contatto con il mondo, quanto nelle aziende attraverso l’adozione di strumenti e tecnologie da impiegare nei processi organizzativi, produttivi, finanziari e gestionali per reagire alle misure restrittive imposte dall’emergenza sanitaria. E la ristorazione è stata tra le prime realtà a coglierne le opportunità.

PNRR e gli investimenti in digitalizzazione nel 2022
Per la stragrande maggioranza (80%) delle pmi della ristorazione intervistate da Qonto, nel 2022 gli investimenti in digitalizzazione saranno cruciali e il 96% di queste utilizzerà gli incentivi messi a disposizione dal PNRR. I principali motivi alla base della scelta sono, per oltre il 70% delle aziende, sia la possibilità che il digitale offre di ottimizzare i processi e accrescere l’efficienza della propria azienda, sia di mantenere o accrescere la propria competitività nel settore. Gli investimenti saranno destinati soprattutto ad implementare nuove attività di marketing e advertising digitale (opzione scelta dal 53% del campione), per avviare e potenziare un canale di e-commerce (45%), preso atto del forte potenziale del canale di vendita online, e per l’adozione o l’aggiornamento di software gestionali (28%).

Le priorità degli imprenditori
Il 92% degli intervistati sarebbe favorevole all’istituzione, da parte del Governo, di un “bonus” a supporto della digitalizzazione delle aziende del settore della ristorazione.
Secondo gli intervistati, tale bonus potrebbe essere utilizzato per sviluppare nuovi servizi a favore della riduzione degli sprechi alimentari in un’ottica di sostenibilità (indicazione data dal 68% delle pmi intervistate) e per una migliore gestione del business (53%). le premesse per un’evoluzione ci sono tutte, dato che è ormai superato quello che pare sembra essere lo “scoglio” maggiormente sentito dagli imprenditori della ristorazione: la mancanza di risorse. Un problema che dovrebbe essere risolto con i fondi del PNRR.

Le organizzazioni sanitarie italiane utilizzano sistemi operativi obsoleti

Le innovazioni tecnologiche da sempre giocano un ruolo fondamentale in campo medico, e durante la pandemia il settore sanitario è stato costretto ad accelerare significativamente l’implementazione di queste innovazioni. Un fenomeno confermato da un recente report di Accenture, che evidenzia l’implementazione di innovazioni tecnologiche da parte dell’81% dei dirigenti di organizzazioni sanitarie. Ma secondo il report Healthcare 2021 di Kaspersky, il sondaggio globale condotto tra i fornitori di servizi sanitari, solo l’11% delle organizzazioni sanitarie italiane utilizza dispositivi medici che eseguono software aggiornati. Al contrario, l’utilizzo di sistemi operativi legacy (OS), ormai obsoleti, espone le organizzazioni sanitarie a maggiori vulnerabilità e rischi informatici.

L’interruzione degli aggiornamenti non protegge da nuove vulnerabilità

Nella maggior parte dei casi, le organizzazioni sanitarie italiane utilizzano dispositivi medici proprio con un sistema operativo legacy. Questo, principalmente a causa di problemi di compatibilità, costi elevati degli aggiornamenti, o per mancanza di conoscenze interne su come eseguire gli aggiornamenti. L’utilizzo di dispositivi obsoleti però può provocare incidenti informatici: quando gli sviluppatori di software smettono di supportare un sistema interrompono anche il rilascio di eventuali aggiornamenti, che spesso includono patch di sicurezza per le nuove vulnerabilità. Se lasciate senza patch, le vulnerabilità possono diventare un vettore iniziale di attacco per penetrare nell’infrastruttura dell’azienda, di cui anche gli attaccanti non specializzati possono servirsi.

I dispositivi senza patch facilitano gli attacchi informatici

Le organizzazioni sanitarie archiviano un volume notevole di dati sensibili e preziosi che le rendono uno degli obiettivi più redditizi, e i dispositivi senza patch possono facilitare il lavoro degli attaccanti. Interrogati sulle loro capacità di reazione in materia di cybersecurity, solo il 20% degli operatori sanitari italiani crede che la loro organizzazione sia in grado di bloccare efficacemente tutti gli attacchi alla sicurezza o le violazioni del perimetro. La stessa percentuale è certa che la loro organizzazione disponga di una protezione di sicurezza IT hardware e software aggiornata e adeguata.
Tuttavia, in Italia il 50% degli intervistati ha ammesso che la loro organizzazione ha già sperimentato incidenti che hanno causato una fuga di dati, il 40% un attacco DDoS mentre il 30% un attacco ransomware.

Minimizzare i rischi della modernizzazione nella sanità

“Il settore sanitario si sta evolvendo verso l’adozione di dispositivi connessi in grado di soddisfare la domanda di maggiore accessibilità alle cure – dichiara Cesare D’Angelo, General Manager Italy di Kaspersky -. Questo comporta anche alcune sfide di cybersecurity tipiche dei sistemi embedded. Il nostro report conferma che molte organizzazioni utilizzano ancora dispositivi medici che eseguono vecchi sistemi operativi e si scontrano con alcuni ostacoli che impediscono l’esecuzione degli aggiornamenti necessari. A oggi, esistono soluzioni e misure disponibili che possono aiutare a minimizzare i rischi di una strategia di modernizzazione nella sanità. Queste misure, insieme alla formazione del personale medico, possono aumentare significativamente il livello di sicurezza e facilitare il progresso del settore sanitario”. 

Mercato del lavoro, le assunzioni sono in crescita

Dopo tutte le difficoltà legate alla pandemia il mercato del lavoro sembra dare segnali positivi, con numeri che indicano una ritrovata dinamicità dopo mesi di stallo. A testimoniarlo sono i dati della Banca d’Italia e del ministero del Lavoro nella sesta Nota congiunta, che evidenziano come nel periodo che va dal primo gennaio 2021 alla fine di ottobre siano stati creati oltre 603.000 posti di lavoro, a fronte dei 105.000 del 2020 e dei 411.000 del 2019. La creazione di posti di lavoro è sostenuta ancora largamente dall’occupazione a termine. Nei mesi autunnali sono tuttavia cresciute lievemente anche le assunzioni a tempo indeterminato, tornate a ottobre sui livelli pre-pandemici. La dinamica delle posizioni a tempo indeterminato ha sostenuto la mobilità complessiva del mercato del lavoro, incentivando i passaggi da un impiego permanente a un altro. A questo fenomeno è ascrivibile buona parte della crescita delle dimissioni volontarie di lavoratori a tempo indeterminato osservate dalla primavera.

Boom di dimissioni volontarie

Come riporta ancora la nota, nel periodo preso in esame – ovvero i primi 10 mesi del 2021 – sono state rilevate 777.000 cessazioni volontarie di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, 40.000 in più rispetto a due anni prima. Il 90 per cento dell’incremento complessivo osservato è ascrivibile all’industria (36.000 dimissioni in più); nei servizi la crescita delle dimissioni, più contenuta, si è fortemente indebolita dalla fine dell’estate. L’eterogeneità settoriale si riflette anche in quella geografica: nel 2021 le separazioni volontarie sono aumentate nel Centro Nord; nel Mezzogiorno invece sono rimaste stazionarie. 

Tutto sommato stabile il numero di licenziamenti

Il numero di licenziamenti rimane modesto anche a settembre e ottobre. Nei settori interessati dallo sblocco del 31 ottobre, nei primi 15 giorni di novembre il tasso di licenziamento è rimasto sostanzialmente in linea con quello osservato prima della pandemia. I licenziamenti sono rimasti su livelli contenuti anche in settembre e ottobre (59.000 contratti cessati con questa causale, il 37 per cento in meno rispetto agli stessi mesi del 2019). Secondo i dati preliminari disponibili, nei primi quindici giorni di novembre si è rilevato invece un aumento dei licenziamenti nei settori in cui il blocco è scaduto il 31 ottobre (servizi e industria dell’abbigliamento, del tessile e delle calzature). La crescita, analogamente con quanto osservato dopo lo sblocco del 30 giugno in gran parte della manifattura e nelle costruzioni, potrebbe riflettere esuberi già previsti nei mesi precedenti. Nonostante tale aumento il tasso di licenziamento non si è discostato dai livelli precedenti la pandemia.

Covid, aumenta la minaccia percepita. Opinioni positive su vaccino e Green Pass

La previsione che nelle prossime settimane i contagi possano aumentare arriva al 71%, e si allunga anche l’orizzonte temporale in cui gli italiani collocano la previsione della fine di ogni preoccupazione per il Covid-19. Di fatto, si fa sempre più strada l‘ipotesi della quarta ondata Covid, e dai risultati dell’ultimo monitoraggio del team Public Affairs di Ipsos in merito all’emergenza coronavirus, si registra un aumento della minaccia percepita e una riduzione dell’ottimismo. Pareri principalmente positivi sono però rilevati sulla progressione della campagna vaccinale, e tra i vaccinati la maggioranza si dichiara sicuro e pronto a ricevere la terza dose di vaccino Covid, o la seconda nel caso del vaccino Johnson&Johnson. Aumenta poi l’opinione favorevole al Green Pass. 

La quarta ondata Covid preoccupa i cittadini

L’aumento dei contagi e l’ipotesi della quarta ondata Covid preoccupa i cittadini italiani. La minaccia percepita tende a risalire in tutti gli ambiti, sia a livello personale sia a livello locale, nazionale e mondiale. Si riduce ulteriormente l’ottimismo riguardo al ‘momentum’ percepito: il 45% ritiene oggi “il peggio passato” (-4), per il 19% “siamo all’apice dell’emergenza” (+3) e per il 13% ”il peggio deve arrivare” (=). La previsione che nelle prossime settimane i contagi possano aumentare arriva al 71% (era il 40% un mese fa), e torna a salire l’orizzonte temporale in cui gli italiani collocano la previsione della fine di ogni preoccupazione per il Covid-19 (18 mesi, +0,9). Tornano poi sopra al 50% quanti si reputano più preoccupati per i rischi sanitari della pandemia, piuttosto che per i rischi economici a essa connessi (53%, +4). L’opinione opposta scende di un punto (30%).

Rimane positivo il giudizio sulla progressione della campagna vaccinale

In generale, il giudizio degli italiani sulla progressione della campagna vaccinale rimane positivo, con una lieve contrazione: 64% di valutazioni positive, -1 rispetto al mese scorso, -3 rispetto a metà settembre. L’86% dei maggiorenni italiani ha ricevuto almeno una dose di vaccino, mentre tra coloro che non hanno ricevuto ancora nessuna dose la quota di disponibili a farlo è ormai ridotta ai minimi termini (7%). Tra i vaccinati il 60% si dice sicuro e pronto a ricevere la terza dose di vaccino Covid o seconda dose nel caso del vaccino Johnson&Johnson, il cosiddetto “boost” (+6 rispetto a due settimane fa), il 28% ha qualche riserva in proposito (-4), il 7% resta contrario all’idea.

Sì al Green Pass: il 61% è favorevole

In merito, invece, al vaccino anti-influenzale circa un italiano su quattro lo ha già fatto o è pronto a farlo, una percentuale simile a quella rilevata l’anno scorso, quando la percentuale di vaccinati risultò a fine stagione pari al 23,7% della popolazione. Quanto al Green Pass e l’obbligo sui luoghi di lavoro, cresce l’opinione favorevole alla misura. A quattro settimane dall’introduzione dell’obbligo per accedere anche ai luoghi di lavoro il 61% si dichiara favorevole (+2) e il 29% (-3) contrario.

Nel 2021 gli acquisti biologici online crescono del 67%

Gli acquisti di prodotti bio continuano a crescere, sia sul mercato interno, con un valore di 4,5 miliardi di euro (+234% rispetto al 2008), sia sui mercati internazionali, dove il valore dell’export bio italiano sui mercati esteri si attesta a 2,9 miliardi di euro (+671% rispetto al 2008). E il 2021 ha consolidato i già positivi risultati del 2020, con un’ulteriore crescita del 5% in un solo anno. Insomma, sono sempre più numerosi gli italiani che scelgono il biologico, 23 milioni di famiglie che consumano prodotti alimentari bio, 10 milioni in più rispetto al 2012. Secondo l’Osservatorio Nomisma, le performance più brillanti riguardano le vendite online veicolate dalla grande distribuzione, la Gdo, tanto che nel 2021 questo canale ha raggiunto una dimensione pari a 75 milioni di euro, segnando una crescita del 67% in un solo anno. Un ulteriore balzo che conferma lo sprint registrato ai tempi del lockdown.

La pandemia spinge il bio nell’e-grocery

A cambiare radicalmente le abitudini di consumo degli italiani è stata infatti la pandemia. Rispetto allo stesso periodo 2019, le vendite bio nell’e-grocery sono cresciute del +214% durante il periodo di lockdown, e tra maggio e agosto 2020 le vendite di alimentari bio hanno continuato a correre (+182%, rispetto allo stesso periodo 2019) fino alla conferma registrata nel 2021 (+67%). Per questo motivo, FederBio Servizi e Nomisma Digital hanno deciso di unire le forze per sostenere l’intero settore biologico italiano, lanciando il progetto e-BIO, una piattaforma di servizi in grado di rispondere alle esigenze di sviluppo degli strumenti e delle strategie di e-commerce delle aziende biologiche, riporta Askanews.

Cogliere le opportunità presenti sul canale e-commerce

“L’aumento dei consumi bio, la crescente attenzione degli italiani verso i temi di salute e sostenibilità e le nuove opportunità derivanti dalle politiche rivelano una sfida che le aziende del mondo biologico devono riuscire a cogliere europee – spiegano i promotori -. Il settore del biologico ha infatti delle specificità che vanno tenute presenti se si vogliono cogliere appieno le opportunità che oggi sono presenti sul canale e-commerce e che possono essere intercettate pienamente solo avendo una approfondita conoscenza del prodotto, del mercato, del consumatore e del processo di vendita online”.

La transizione digitale delle imprese agroalimentari è un asset imprescindibile

La mission di e-BIO è quindi quella di supportare il sistema agroalimentare italiano e i suoi attori per cogliere pienamente le opportunità di sviluppo delle produzioni biologiche, riferisce il Sole 24 Ore.
“Il canale e-commerce diventa un asset sempre più strategico – commenta Silvia Zucconi, responsabile market intelligence Nomisma -: il trend positivo continuerà anche nei prossimi anni considerata la progressiva crescita degli acquirenti online e le caratteristiche del profilo del consumatore bio. La transizione digitale delle imprese agroalimentari diventa così un asset imprescindibile”.