Nel 2021 gli acquisti biologici online crescono del 67%

Gli acquisti di prodotti bio continuano a crescere, sia sul mercato interno, con un valore di 4,5 miliardi di euro (+234% rispetto al 2008), sia sui mercati internazionali, dove il valore dell’export bio italiano sui mercati esteri si attesta a 2,9 miliardi di euro (+671% rispetto al 2008). E il 2021 ha consolidato i già positivi risultati del 2020, con un’ulteriore crescita del 5% in un solo anno. Insomma, sono sempre più numerosi gli italiani che scelgono il biologico, 23 milioni di famiglie che consumano prodotti alimentari bio, 10 milioni in più rispetto al 2012. Secondo l’Osservatorio Nomisma, le performance più brillanti riguardano le vendite online veicolate dalla grande distribuzione, la Gdo, tanto che nel 2021 questo canale ha raggiunto una dimensione pari a 75 milioni di euro, segnando una crescita del 67% in un solo anno. Un ulteriore balzo che conferma lo sprint registrato ai tempi del lockdown.

La pandemia spinge il bio nell’e-grocery

A cambiare radicalmente le abitudini di consumo degli italiani è stata infatti la pandemia. Rispetto allo stesso periodo 2019, le vendite bio nell’e-grocery sono cresciute del +214% durante il periodo di lockdown, e tra maggio e agosto 2020 le vendite di alimentari bio hanno continuato a correre (+182%, rispetto allo stesso periodo 2019) fino alla conferma registrata nel 2021 (+67%). Per questo motivo, FederBio Servizi e Nomisma Digital hanno deciso di unire le forze per sostenere l’intero settore biologico italiano, lanciando il progetto e-BIO, una piattaforma di servizi in grado di rispondere alle esigenze di sviluppo degli strumenti e delle strategie di e-commerce delle aziende biologiche, riporta Askanews.

Cogliere le opportunità presenti sul canale e-commerce

“L’aumento dei consumi bio, la crescente attenzione degli italiani verso i temi di salute e sostenibilità e le nuove opportunità derivanti dalle politiche rivelano una sfida che le aziende del mondo biologico devono riuscire a cogliere europee – spiegano i promotori -. Il settore del biologico ha infatti delle specificità che vanno tenute presenti se si vogliono cogliere appieno le opportunità che oggi sono presenti sul canale e-commerce e che possono essere intercettate pienamente solo avendo una approfondita conoscenza del prodotto, del mercato, del consumatore e del processo di vendita online”.

La transizione digitale delle imprese agroalimentari è un asset imprescindibile

La mission di e-BIO è quindi quella di supportare il sistema agroalimentare italiano e i suoi attori per cogliere pienamente le opportunità di sviluppo delle produzioni biologiche, riferisce il Sole 24 Ore.
“Il canale e-commerce diventa un asset sempre più strategico – commenta Silvia Zucconi, responsabile market intelligence Nomisma -: il trend positivo continuerà anche nei prossimi anni considerata la progressiva crescita degli acquirenti online e le caratteristiche del profilo del consumatore bio. La transizione digitale delle imprese agroalimentari diventa così un asset imprescindibile”. 

Italiani e pasta, la passione diventa “alternativa

I grandi amori sono per sempre, e tra questi non si può non annoverare anche la passione per la pasta. Che il rapporto fra gli italiani e il primo piatto più famoso del pianeta sia stretto, strettissimo, è un dato assodato. Ora però si scopre che sono sempre di più le persone interessate a scoprire nuovi tipi di pasta, le cosiddette “alternative” percepite come salutari o con precise caratteristiche. Fatto sta che nell’ultimo periodo l’80% delle persone ha provato almeno una volta un tipo di pasta alternativa, mentre un italiani su 5 (pari al 18%) la mangia abitualmente. L’ultimo report in merito ai consumi di pasta è firmato da Everli, il marketplace della spesa online, che ha approfondito il rapporto degli abitanti dello Stivale con la pasta, analizzandone i consumi e investigando il loro approccio verso quelle “diverse”, ovvero quelle che non sono la pasta all’uovo, di semola di grano duro e ripiena. Dal report di scopre anche che i principali fan di nuovi tipi di pasta sono soprattutto le donne – che rappresentano più della metà (60%) – di cui il 58% ha 25-39 anni. Tuttavia, per ora, gli italiani preferiscono continuare a mangiare tradizionale e alternativo, senza fare distinzioni nette fra i diversi tipi di pasta e soprattutto senza rinunce.

La preferita? Di semola e corta

Ma qual è la pasta prediletta dai nostri connazionali? Non ci sono dubbi: è quella di semola e corta. Nello specifico, se si guarda al ranking delle 10 province in cui nel 2020 si è speso di più per l’acquisto di pasta, fanno eccezione solo Biella, Bolzano e Lodi, dove ravioli e tortellini la fanno da padrone –seconda scelta questa invece per quasi tutte le restanti province, fatta eccezione di Caserta, dove sono gnocchi e la pasta “alternativa” a chiudere il podio. Curioso notare che solo 3 province su 10 (L’Aquila, Sondrio e Pescara) inseriscono tra le prime tre preferenze di acquisto anche la pasta di semola lunga. Anche quando si guarda alle paste non-tradizionali,  vince sempre quella corta. Considerando, infatti, i 10 prodotti più comprati dagli italiani, la tipologia di pasta “alternativa” più apprezzata è quella integrale (8 su 10) e corta (7 su 10). Chi non opta per l’integrale è perché compra pasta gluten free oppure pasta di mais e riso (sempre senza glutine).

Perchè si sceglie l’alternativa

Quali sono le ragioni che portano gli italiani a consumare pasta alternative? Per una gran parte(49%) la motivazione è la curiosità,  ma per un’altra larga fetta di consumatori i motivi sono ben ponderati e frutto di scelte personali consapevoli. Infatti, i consumatori tricolore pensano che la pasta “alternativa” sia più sana di quella tradizionale (35%), più digeribile (31%) e che possa contribuire ad aumentare l’apporto di fibre (23%); inoltre, viene considerata un alimento “amico” della linea, scelto da oltre 1 consumatore su 10 (13%) che desidera perdere peso. 

Metà degli italiani vuole il modello di lavoro ibrido

Quasi metà dei professionisti italiani, il 47%, preferisce un modello ibrido tra dover lavorare sempre in ufficio o sempre in smart working, mentre il 30% preferirebbe lavorare a tempo pieno in ufficio, e quasi il 23% lavorare a tempo pieno da casa. Sia per le donne sia per gli uomini il modello di lavoro ibrido rimane il favorito, anche se le prime, con il 52,9% di preferenze, mostrano una maggiore adesione a questo tipo di modello rispetto agli uomini (41,9%). Quanto alla fascia d’età, è la categoria dei professionisti più giovani, fino a 24 anni, a essere l’unica a preferire lavorare in ufficio rispetto a una modalità ibrida. È quanto emerge da una ricerca di LinkedIn dal titolo FUture of Work: Italia sui nuovi modelli di lavoro emersi con la pandemia. 

Meglio lavorare da casa o in ufficio?

Tra chi ha espresso la preferenza per lavorare da casa la percentuale più alta (37%) dichiara di preferire il lavoro da remoto per mantenere un migliore equilibrio tra vita personale e lavoro, mentre il 32% vuole evitare le difficoltà legate al pendolarismo e il 21% pensa di essere più produttivo a casa.
Tra chi invece preferisce lavorare in ufficio, il motivo principale è il poter essere circondati dai colleghi (44%), mentre il 36% pensa di essere più produttivo. Il 33% poi trova che la possibilità di alternare casa e ufficio porti benefici, mentre quasi il 28,5% dichiara di essere più sedentario a lavorare da casa, e il 13% di spendere più soldi quando lavora da casa, quindi, preferisce il lavoro in ufficio.

Le preoccupazioni di chi lavora da remoto

Ma non sono solo la routine e la mancanza di attività fisica a preoccupare. Il 38% degli intervistati teme che chi sceglie di tornare in ufficio possa essere avvantaggiato dai superiori rispetto a chi lavora da remoto, il 31% pensa che lavorare da casa possa influire negativamente sul proprio percorso professionale, e il 34% teme che la qualità delle interazioni con i colleghi in ufficio possa peggiorare nel tempo. Ma esiste anche un 27,5% convinto che lavorando da casa si ‘perderebbe il divertimento’ del lavoro in ufficio.

Tornare in ufficio a tempo pieno? C’è chi dice no

Tra i lavoratori a cui le aziende hanno chiesto di tornare a lavorare in ufficio in maniera continuativa, riporta Ansa, il 44,5% ha accettato ed è tornato o tornerà nel posto di lavoro, mentre il 26% ha chiesto di rientrare con un orario flessibile. Ma un 6,7% dichiara di aver lasciato il lavoro proprio perché gli è stato chiesto di tornare in ufficio a tempo pieno. Quanto alla richiesta da parte dei datori di lavoro del certificato vaccinale ai dipendenti prima del rientro in ufficio, il 75% degli intervisti pensa che sia molto o abbastanza importante richiedere che i dipendenti siano vaccinati per il ritorno in ufficio.

L’export in Lombardia supera 35 miliardi di euro nel secondo trimestre 2021

L’ incremento nelle attività delle imprese lombarde nel secondo trimestre del 2021 ha dato nuovo slancio agli scambi con l’estero, e il valore delle esportazioni originate dalla Lombardia supera per la prima volta i 35 miliardi di euro. A crescere sono anche le importazioni, che superano i 37 miliardi complessivi, con una riduzione del deficit commerciale pari a 2,7 miliardi di euro. La variazione dell’export lombardo sul primo trimestre dell’anno è pari a +12,9% e l’incremento rispetto allo stesso trimestre del 2020 tocca +46,7%, un valore eccezionale rispetto al minimo registrato l’anno scorso. E rispetto al livello medio del 2019, l’export cresce del +9,9%, un dato che conferma l’accelerazione congiunturale e il netto superamento dei livelli pre-crisi. Si tratta dei dati di Unioncamere Lombardia, ricavati dal rapporto sul commercio estero della regione nel secondo trimestre 2021.

Crescita a due cifre per le esportazioni di prodotti in metallo e metalli di base

Tra i comparti è quello legato ai metalli e le loro produzioni a trainare la ripresa, e di questa performance beneficiano la maggior parte delle provincie lombarde. Anche gli apparecchi elettrici ed elettronici, la chimica, gomma-plastica e il comparto alimentare crescono significativamente, mentre continua il momento difficile per il tessile, pelli e accessori (-5,2%), e gli articoli farmaceutici (-1,3%) I dati di Unioncamere confermano una crescita a due cifre per le esportazioni di prodotti in metallo e metalli di base (+25,2%), sostanze e prodotti chimici (+17,7%), gomma e materie plastiche (+15,7%), prodotti alimentari (+15,2%) e computer, apparecchi elettrici ed elettronici (+13,9%). Più contenuto l’incremento registrato per mezzi di trasporto (+8,8%), macchinari e apparecchi vari (+5,3%) e aggregato degli altri prodotti (+3,7%), principalmente mobili e arredamento.

Incrementi tendenziali consistenti per tutte le destinazioni

In generale l’andamento positivo viene confermato anche dal confronto con il livello pre-crisi, rispetto al quale si registra un incremento del 9,8% complessivo. Tutte le destinazioni registrano incrementi tendenziali consistenti, dal +36,7% dell’Unione Europea al +80,3% dell’America centro-meridionale. Considerando le singole aree si osservano alcune destinazioni che devono ancora completare la fase di recupero dei livelli pre-crisi, come Medio Oriente (-3,5%), Altri paesi africani (-5,8%) e Asia centrale (-12,0%).  Verso le restanti destinazioni la Lombardia riesce a incrementare il valore dell’export rispetto alla media 2019 grazie ai principali paesi di destinazione, tra cui Cina (+34,9%), Turchia (+25,7%), Regno Unito (+22%), Brasile (+16,3%), Germania (+13,4%) e Stati Uniti (+8,1%).

L’andamento delle province lombarde

L’incremento tendenziale interessa tutte le provincie lombarde. Rispetto alla media 2019 crescono, fortemente trainati da metalli di base e prodotti in metallo, Mantova (+29%), Cremona (+22,6%) Brescia (+21,9%). Seguono Sondrio (+15,2%) Monza e Brianza (+14,5%) Lecco (+13%) e Bergamo (+12,9%) Meno intensa la crescita delle provincie di Lodi (+9,9%), Varese (+6,8%), Como (+3,7%) e Milano (+2,2%). Pavia invece non ha ancora recuperato il divario rispetto ai livelli pre-crisi (-7,4%).

Luce e gas: bollette più salate, ma con il mercato libero si risparmia

Le bollette di luce e gas sono tra le spese che più pesano sul budget delle famiglie italiane. Per mettersi al riparo dalle variazioni che scatteranno per chi si avvale delle tariffe del mercato tutelato conviene valutare il passaggio al mercato libero, approfittando delle offerte a prezzo fisso proposte dagli operatori. Di fatto, secondo il bilancio di Facile.it, nel 2020 la bolletta dell’energia elettrica ha raggiunto in media 505,40 euro, ovvero il 7,5% in più rispetto al 2019. È andata meglio sul fronte del gas, dove nonostante i lockdown i consumi sono rimasti stabili, e, gli italiani hanno potuto beneficiare del calo delle tariffe spendendo, in media, 734,30 euro. Per questo motivo, a parità di consumi, e guardando alla miglior tariffa del mercato libero, secondo le simulazioni di Facile.it una famiglia potrebbe risparmiare fino al 16% per la bolletta elettrica e fino al 13% per quella del gas.

Da ottobre tariffe aggiornate

Nel 2020 complessivamente tra luce e gas gli italiani hanno speso 1.239,71 euro a famiglia, sicuramente una cifra leggermente più bassa rispetto ai 1.378,38 euro del 2019, il timore però è che per il 2021 possa essere molto più salata. Le tariffe sono infatti aumentate nella prima parte dell’anno, così come i consumi, e i prezzi potrebbero lievitare ulteriormente nei prossimi mesi.
“Il primo ottobre le tariffe energetiche verranno aggiornate e il rischio di un maxi aumento è concreto, se si considera che ormai da mesi stiamo assistendo a una crescita importante del costo delle principali materie prime energetiche”, spiega Mario Rasimelli, managing director utilities di Facile.it.

In Sardegna si consuma più energia elettrica
La spesa per la luce non è però omogenea su tutto il territorio nazionale, e i dati su base regionale fanno emergere significative differenze. Considerando che il prezzo dell’energia sotto regime di tutela è uguale in tutte le aree del Paese, la differenza del peso della bolletta quindi è legata unicamente ai consumi. E al primo posto per consumi e spesa di energia elettrica si posiziona la Sardegna, dove nel 2020 il consumo medio a famiglia sotto regime di tutela corrispondeva a un costo totale di 584 euro (+15,6% rispetto alla media nazionale. Al secondo posto si posiziona invece il Veneto, con 542 euro.
Le regioni dove i consumi sono stati più contenuti, sono la Valle d’Aosta (399 euro), e la Liguria (430 euro).

In Trentino consumi e tariffe del gas più alti

Quanto al gas, sotto regime tutelato il prezzo varia a seconda delle aree del Paese. Il peso della bolletta, quindi, è frutto sia dei consumi sia delle tariffe previste dall’area di residenza. 
Dall’analisi dei contratti di Facile.it il Trentino-Alto Adige è la regione dove i cittadini hanno pagato il conto più alto nel 2020 (935 euro l’anno a famiglia), seguito da Emilia-Romagna e Piemonte (entrambe 931 euro). Al contrario, le regioni dove nel 2020 le famiglie hanno speso meno per il gas sono la Campania, con “solo” 631 euro, la Puglia, (641 euro), e il Lazio (678 euro).

Famiglie, migliorano le attese su economia e lavoro

Secondo la quinta edizione dell’indagine straordinaria sulle famiglie italiane condotta dalla Banca d’Italia, le attese delle famiglie sulla situazione economica generale del Paese e sul mercato del lavoro sono migliorate. Rispetto alla rilevazione condotta da Bankitalia tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2021, il saldo delle risposte relative alle prospettive generali dell’Italia, pur restando negativo, ora risulta fortemente aumentato. Di fatto, la percentuale di famiglie che si attende un peggioramento del quadro generale nei successivi dodici mesi è diminuita di 8 punti percentuali, portandosi a quota 38%. Si tratta del valore più basso dall’avvio della rilevazione, avvenuto nella primavera del 2020, quindi in piena crisi pandemica.

Il 70% dei nuclei si attende un reddito in linea con quello percepito nel 2020

Sempre secondo la quinta edizione della rilevazione della Banca d’Italia, anche le aspettative sul mercato del lavoro nei successivi dodici mesi ora sono divenute più favorevoli. Le attese sulla situazione economica familiare invece sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto a inizio anno. Oltre il 70% dei nuclei familiari italiani per il 2021 si attende un reddito in linea con quello percepito nel 2020, mentre circa un sesto dei nuclei ritiene che entro la fine del 2021 sarà inferiore. E se i nuclei con capofamiglia lavoratore autonomo o disoccupato continuano a essere più pessimisti rispetto a quelli con capofamiglia dipendente e pensionato, il divario si sta attenuando.

Più un quinto delle famiglie ha beneficiato delle misure di sostegno

Così come nella precedente edizione dell’indagine, poi, il 30% delle famiglie italiane dichiara di aver percepito nell’ultimo mese un reddito più basso rispetto a prima dello scoppio della pandemia. Il peggioramento delle condizioni reddituali però risulta ancora mitigato dalle misure governative di sostegno al reddito. Tra i mesi di marzo e aprile del 2021, secondo le rilevazioni di Bankitalia, ne avrebbe beneficiato poco più di un quinto dei nuclei familiari.

Ma c’è anche chi ha riportato una riduzione del reddito

Un ulteriore dato che emerge dall’indagine, riporta Italpress,  è come la maggior parte delle famiglie italiane ritenga che il valore delle proprie attività finanziarie nel 2020 sia rimasto stabile. Un terzo delle famiglie, invece, sostiene che sia diminuito, una quota che raggiunge il 40% tra i nuclei il cui capofamiglia è occupato nei settori maggiormente colpiti dalla pandemia, come ristorazione, turismo, commercio al dettaglio, e che addirittura raddoppia tra coloro che hanno riportato una riduzione del reddito rispetto a prima dell’emergenza sanitaria.

Micro imprese, previste assunzioni nei prossimi 6 mesi

Nei prossimi sei mesi più della metà delle micro imprese italiane ha intenzione di assumere personale. Un contributo alla crescita dell’occupazione, quindi, se ciò non risultasse frenato dalle difficoltà, e in molti casi dalla impossibilità, di reperire le figure professionali necessarie. A rilevarlo è una indagine condotta dalla CNA su un campione di oltre 2 mila aziende, rappresentative del tessuto imprenditoriale nazionale, composto per più del 90% da imprese con meno di dieci addetti. Più in dettaglio, il 55,1% delle imprese che hanno partecipato all’indagine vorrebbe realizzare assunzioni entro gennaio 2022. Di queste, il 52,7% ipotizza nel periodo in esame una assunzione, il 33,8% ne prevede due, e l’8,2% tre.

Due nuovi lavoratori su tre saranno reclutati mediante contratti ‘stabili’ 

Assunzioni che non sono destinate a fare fronte a un aumento meramente transitorio della domanda. Quasi due nuovi lavoratori su tre, infatti, sarebbero reclutati mediante contratti ‘stabili’. In particolare, il 29,4% con contratto a tempo indeterminato, il 20,2% di apprendistato, e il 14,8% tramite tirocinio formativo. Il 27,7% delle imprese invece punta su contratti a tempo determinato, un che rappresenta la formula giuridica ideale a soddisfare la flessibilità richiesta alle imprese più piccole. Marginale risulta invece il ricorso alle collaborazioni professionali (4,1%) e al lavoro occasionale (3,8%).

Il 79,9% delle imprese non trova candidati idonei

La volontà delle imprese, e in particolare delle imprese artigiane, micro e piccole, di ampliare l’organico in funzione delle nuove necessità richieste dal mercato nel dopo pandemia, rischia però di essere frustrata dalla difficoltà, spesso insormontabile, di reperire le figure professionali. Solo il 12,9% delle imprese che stanno assumendo, o vorrebbero farlo, assicura di non avere avuto (e si dice convinto che non avrà) problemi a selezionare candidati dotati delle competenze richieste disposti ad accettare l’offerta. Al contrario, la grande maggioranza del campione denuncia difficoltà. Il 79,9% delle imprese, infatti, non riesce a trovare candidati idonei alle mansioni richieste. E il rimanente 7,2% si imbatte in candidati insoddisfatti delle offerte economiche avanzate dalle imprese, riporta Italpress.

L’Italia non ha un sistema in grado di coniugare domanda e offerta di lavoro

Sotto questo aspetto, dall’indagine CNA emerge un quadro “inquietante anche se non nuovo: il nostro Paese non ha un sistema in grado di coniugare domanda e offerta di lavoro – sottolinea l’associazione -. Tanto che il 41,1% delle imprese ammette di cercare il personale prevalentemente tramite il cosiddetto passaparola. Una quota quasi doppia rispetto a quella delle imprese che si rivolgono alle agenzie interinali e di ricerca o selezione del personale, che si ferma al 21,5%. Il 16,6% del campione – continua la CNA – si indirizza a scuole o a istituti di formazione, l’11% si affida ai mezzi di comunicazione specializzati e appena il 3,8% ricorre ai centri per l’impiego. A riprova del fatto che il canale pubblico riesce solo per una esigua parte a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”.

Case Vacanza, il mercato torna crescere. Cortina la meta più cara

Buone notizie per il comparto delle case vacanza: la domanda sia di acquisto si di locazione, infatti, sta ritornando a crescere dopo lo stop forzato del 2020. E sette agenti immobiliari su dieci confermano il trend rilevato dalle stime, come riporta l’Osservatorio Nazionale Immobiliare Turistico di Fimaa (Federazione italiana mediatori agenti d’affari). con la collaborazione della Società di Studi Economici Nomisma. 

L’andamento dei prezzi delle seconde case

Nel 2021 il prezzo medio per l’acquisto di un’abitazione nelle località turistiche in Italia si attesta a 2.730 euro al mq commerciale, con una tendenza dei prezzi di vendita delle case per vacanza in aumento del +3,1% su base annua e un campo di oscillazione compreso tra -1,2% e +5,5%, mettendo in evidenza un deciso recupero dopo la battuta di arresto dello scorso anno (-0,8% su base annua). Per le abitazioni top nuove nelle località turistiche, le quotazioni medie si attestano su valori che superano i 3.700 euro al mq (con un range di oscillazione dei valori medi tra 2.900 e 4.200 euro al mq); per le abitazioni centrali usate i valori medi oscillano tra 2.110 e 3.160 euro al mq, mentre per le abitazioni periferiche usate si mantengono tra 1.520 e 2.200 euro al mq.

Le località italiane più costose

In cima alla classifica delle principali località turistiche, per quanto riguarda i prezzi massimi di compravendita di appartamenti top o nuovi, troviamo anche quest’anno una destinazione montana. Cortina d’Ampezzo (BL) si posiziona in vetta alla classifica con valori che raggiungono i 13.500 €/mq, superando Madonna di Campiglio (Tn) con 13.000 €/mq. In terza e quarta posizione vi sono due destinazioni marittime, ovvero Forte dei Marmi (LU) e Capri (NA), rispettivamente con un prezzo per abitazioni di 13.000 €/mq e 12.500 €/mq. In quinta posizione Courmayeur (AO) con un valore di 11.000 €/mq, arretrando rispetto allo scorso anno, e Santa Margherita Ligure (GE) che con un valore di 10.500 €/mq mantiene la stessa posizione del 2020.

I valori delle locazioni estive

E per quanto riguarda il mercato delle locazioni? Quali sono i costi e quali le richieste dell’utenza? Il report specifica che nelle destinazioni turistiche italiane il canone medio settimanale ordinario (valore di massima frequenza per un appartamento con camera matrimoniale, cameretta, cucina e bagno, 4 posti letto spese incluse) è di quasi 500 euro per il mese di giugno, 710 euro per luglio e 930 euro per agosto.

Gli italiani? I più magri d’Europa

Non è certo un segreto che in tutta Europa, come è accaduto già negli Stati Uniti, stia aumentando in maniera significativa il numero delle persone in sovrappeso. Tanto che oggi, stando alle stime, circa la meta degli europei ulti sorpassa (e in certi casi anche di molto) il peso forma. 

Più “oversize” in poco tempo

I numeri di questo confronto con la bilancia è frutto di analisi di Eurostat. Secondo i dati raccolti, nel 2019 gli abitanti adulti dell’Ue dal peso corretto erano il 45% della popolazione. Di tutti gli altri, la percentuale di oversize è significativa: poco più della metà (53%) è stato considerato sovrappeso (36% pre-obeso e 17% obeso) mentre poco meno del 3% sottopeso. I dati sono stati misurati in base all’indice di massa corporea (Bmi): si tratta di una misura che relaziona peso e altezza e stabilisce in maniera abbastanza precisa la quantità di grasso corporeo. 

Più grandi, più in carne

Ad eccezione degli ultrasettantacinquenni, più anziana è la fascia di età, maggiore è la quota di persone in sovrappeso: la quota più bassa si registra tra i 18-24enni (25%), mentre quelli tra i 65 e i 74 anni hanno la quota più alta (66%). Nella stessa fascia di età si presenta anche il maggior numero di persone obese. Esiste anche una correlazione tra sovrappeso e livello di istruzione: la percentuale di persone in carne diminuisce all’aumentare dello stato socio-culturale. Infatti la percentuale di adulti in sovrappeso tra coloro con un livello di istruzione basso si attestava al 59% nel 2019, era del 54% tra quelli con un’istruzione media e del 44% per gli adulti che possono vantare un livello di istruzione elevato. Anche la condizione di obesità diminuisce con la scolarizzazione: le percentuali sono del 20% fra adulti con basso livello di istruzione, del 17%  con medio e dell’11% fra gli adulti con una alta scolarizzazione. 

Quota più alta di adulti in sovrappeso in Croazia e Malta, più bassa in Italia

I dati sono tutti contenuti nella European Health Survey pubblicata da Eurostar, che periodicamente misura lo stato di salute e l’utilizzo dei servizi sanitari dei cittadini dell’UE. Il rapporto mostra che la percentuale di adulti in sovrappeso varia tra gli Stati membri dell’UE, con le quote più elevate registrate in Croazia e Malta, dove il 65% degli adulti risultava in sovrappeso nel 2019.  Al contrario, le quote più basse sono state registrate in Italia (46%), Francia (47%) e Lussemburgo (48%). 

Risorse naturali scarse: tassare le aziende che le utilizzano? 

Cosa pensano i cittadini in merito all’utilizzo di risorse naturali scarse per la produzione e realizzazione di prodotti? La risposta arriva dal nuovo sondaggio di Ipsos, condotto in collaborazione con il World Economic Forum, che ha raccolto e analizzato le opinioni dei cittadini in merito allo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle aziende. Il sondaggio è stato condotto tra il 21 maggio e il 4 giugno 2021 su 19.510 adulti in 28 Paesi del mondo attraverso un questionario online. Innanzitutto, dal sondaggio emerge che il 71% pensa che le aziende che usano tali risorse dovrebbero pagare tasse aggiuntive, e l’85% degli intervistati ritiene che le informazioni relative all’utilizzo di risorse naturali scarse dovrebbero essere incluse nelle etichette dei prodotti. 

Cina, India, Colombia, Cile sono più d’accordo ad aumentare le tasse

Il sondaggio Ipsos rivela che a livello internazionale il 71% degli intervistati ritiene che le aziende che usano risorse naturali scarse per la realizzazione dei propri prodotti dovrebbero pagare tasse aggiuntive per il loro uso, anche se ciò significherebbe aumentare significativamente il prezzo finale dei prodotti.  Tra i 28 Paesi esaminati, una tassazione maggiore per le aziende che utilizzano risorse naturali scarse è maggiormente condivisa in Cina (85%), India e Colombia (84%) e Cile (83%), e meno condivisa in Giappone (47%), Polonia (50%) e Stati Uniti (60%) e Ungheria (64%). In Italia, la percentuale di intervistati d’accordo con una maggior tassazione per l’utilizzo di risorse naturali scarse al fine di produrre e realizzare prodotti, pari al 73%, si avvicina alla media internazionale. 

Serve un’etichettatura adeguata dei prodotti

Quanto all’etichettatura dei beni che utilizzano risorse naturali scarse per la loro produzione il sondaggio Ipsos rivela che a livello internazionale l’85% degli intervistati ritiene che le informazioni relative all’utilizzo di risorse naturali scarse dovrebbero essere incluse sulle etichette dei prodotti. Tra i 28 Paesi esaminati, un’etichettatura dei prodotti appropriata sulle merci è maggiormente condivisa in Colombia (93%), Malesia, Cina e Cile (91%) e meno condivisa in Giappone (75%), Germania e Stati Uniti (76%). 
Anche in questo caso, la percentuale degli intervistati italiani d’accordo con l’inserimento delle informazioni relative all’utilizzo di risorse naturali scarse nelle etichette dei prodotti, si avvicina alla media internazionale, con l’83% di opinioni positive. 

La soluzione è l’economia circolare

Dai dati Ipsos la necessità di ridurre il consumo e lo spreco sembra quindi essere ampiamente riconosciuta. Ma come procedere? Secondo il World Economic Forum una strategia chiave per ridurre i consumi e proteggere le risorse naturali è quella di allontanarsi dal nostro attuale approccio ai consumi, basato su “prendere-produrre-eliminare”, verso un’economia più circolare. I sostenitori dell’economia circolare propongono alcune modalità alternative di produzione, che potrebbero aiutare ad affrontare i problemi di sovraconsumo e scarsità delle risorse. In particolare, i prodotti dovrebbero essere progettati per sfruttare meno risorse e produrre meno rifiuti, i materiali usati per produrre i beni dovrebbero essere riutilizzati, e le risorse naturali dovrebbero essere protette e rimpiazzate.